Recensione: Pregnant Is the Night

Di Alessandro Calvi - 7 Settembre 2013 - 9:00
Pregnant Is the Night
Band: Fornace
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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62

I Fornace nascono a Casale Monferrato nel 2000 e, nonostante diversi e ripetuti cambi di line-up, riescono a pubblicare con una certa regolarità 3 demo-tape. Nel 2011, dopo ulteriori cambi tra le fila dei musicisti, il grande passo di registrare un album intero, questo “Pregnant Is the Night”, che, a causa di svariati ritardi, vedrà la luce solo l’anno successivo attraverso l’etichetta russa Autodafe Prod.

La scelta dei Fornace è semplice: suonare black metal alla vecchia maniera, magari con qualche spruzzata di sound degli anni ’80 e qualche saltuaria deviazione nel death.
Scelta che ad alcuni potrebbe parere ovvia, condivisibile, ma non necessariamente di facile attuazione. Le sette canzoni di “Pregnant Is the Night”, però, mostrano come quella del gruppo non sia stata una decisione presa alla leggera e che proprio la lunga esperienza underground della band sia l’arma in più per riuscire in questo compito non facile.
L’album si apre con “Fog Between the Coffin”, una intro atmosferica dal sapore horror che ci trasporta fino alla successiva “The Warp of Blood”, prima vera e propria canzone del disco. Chitarre, basso e batteria, qui, la fanno da padrona, tra riff laceranti e scream al vetriolo. La ricetta è risaputa e i Fornace non sembrano inventare nulla di nuovo, ma il songwriting funziona e si lascia seguire senza annoiare. Anche le soluzioni già sentite, che qui e là compaiono, scorrono senza ingenerare troppe sensazioni di dejà-vù e donano, semmai, quel vago retrogusto di conosciuto e familiare che in certi frangenti può anche aiutare e far piacere all’ascoltatore.
La qualità delle composizioni, inoltre, si mantiene più o meno tutta sullo stesso buon livello. Un’arma che, in realtà, può rivelarsi a doppio taglio perchè se è vero che non vi sono vistosi cali, allo stesso tempo non vi è neanche quella killer-song destinata a rimanere impressa a lungo o qualche brano che spicchi tra gli altri. Il risultato è una più che apprezzabile omogeneità del valore del prodotto, ma che potrebbe, alla lunga, risultare un po’ monotona.
Una critica, però, è d’obbligo e riguarda la voce femminile scelta per le parti recitate che, indubbiamente, sarebbe suonata decisamente meglio se dotata di una migliore pronuncia e meno (meglio ancora nessun) accento.
Certo, i capolavori son altri e qui non possiamo neanche parlare di un’opera seminale dotata di particolare originalità. Al contempo, però, ci sorprendiamo sempre un po’ quando vediamo che certe band italiane, autrici di album del tutto degni, son costrette a inseguire un contratto fin dall’altra parte del mondo, mentre certe etichette della nostra penisola stampano copie su copie dello stesso mediocre prodotto.

Per concludere i Fornace sfornano (visto il nome è proprio il caso di dirlo), un onesto disco di black metal vecchia scuola. Nulla di particolarmente originale e innovativo, ma orecchiabile, ben composto e arrangiato, capace di regalare qualche piacevole quarto d’ora d’ascolto. Le qualità, quindi, sembrano esserci, con un piccolo sforzo in più credo che potrebbero anche riuscire a stupirci.

Alex “Engash-Krul” Calvi

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