Recensione: Premonitions
Tornano, a due anni di distanza dal buon “The shadowed road”, i Sojourner, band dedita ad un originale forma di black metal di ultima generazione, infarcita di elementi prog, folk ed atmosferici. Una cosa che stupisce favorevolmente di questo quintetto è l’assenza di cambi di formazione per un gruppo i cui componenti sono sparsi in giro per il mondo che registra i propri lavori a distanza e comunica sostanzialmente via internet. Alla trittico guida formato dai neozelandesi Mike Lamb (chitarre e tastiere), Mike Wilson (basso) e Chloe Bray (voce femminile, chitarre e tin whistle) troviamo ancora lo spagnolo Emilio Crespo al growl e l’italiano Riccardo Floridia alle pelli. A dispetto della distanza, i Sojourner sono anche molto produttivi, considerati gli standard attuali: tre album in quattro anni. L’ultimo, uscito ora, si chiama “Premonitions”.
Detto questo, notiamo fin dalle prime note dell’apripista “Monolith”, che la band non si è distaccata molto da quanto fatto nell’episodio precedente. Basi rocciose con intermezzi sognanti, guitar work tutto orientato alla creazione di riff piuttosto elaborati ma anche assai semplici da assimilare, sound complessivo rotondo e potente ma anche con discreti cambi di atmosfera.
In tutto ciò i pezzi da segnalare sono, senza dubbio, la seconda traccia “Eulogy for the lost”, che vive molto bene del contrasto tra i riff “masselli” e la voce da ninfa di Bray e “Fatal Frame”, senza dubbio il brano più strutturato del lotto. Un terzo episodio da menzionare è poi “Talas”, che si distingue eminentemente per essere una ballad tutta piano e voce femminile.
Essendo forse esaurito il fattore sorpresa di due anni fa, però, ora che la visione d’insieme è valutata con più distacco: i 56 minuti di “Premonitions”, mostrano il fianco anche ad alcuni appunti critici. Tutto in quest’album, come nel precedente, è ben fatto ed è al posto giusto. Le canzoni non annoiano e hanno un loro tratto distintivo alla Sojourner. Quello che manca – e pesa – al quintetto è probabilmente il proverbiale colpo di genio. Alla fine della fiera l’idea è di aver sentito un bell’album, eppure agli ascolti successivi non si trova un’ulteriore conferma, tutto sembra un po’ piatto.
Magari è la distanza, che porta a i Sojourner creare le canzoni a tavolino, ma pare che il songwriting, per quanto impeccabile, deficiti un po’ di verve (se non in alcune linee melodiche femminili). In sostanza, dunque, “Premonitions” è il classico album fatto molto bene, forse un po’ troppo, e per questo non lascia sull’ascoltatore una forte impressione. Vince ma non convince, come si suol dire.