Recensione: Presence
“Presence” è il settimo album in studio dei Led Zeppelin, pubblicato nel 1976. E’ sicuramente il più ‘hard’ della discografia della band, ed il suo sound rabbioso improntato soprattutto sui virtuosismi di Page è certamente dovuto al periodo particolare che il gruppo stava vivendo.
Gli Zeppelin venivano dal superlativo doppio cd “Physical Graffiti” uscito l’anno precedente, che li aveva consacrati come “Biggest Band of the Seventies” (la band più grande degli anni ’70) ed aveva ottenuto un incredibile (ed ennesimo) successo di vendite. Il successivo mastodontico tour, venne tuttavia interrotto dopo alcuni mesi a causa di un terribile incidente d’auto subito da Plant e dalla sua famiglia, obbligando lo stesso cantante a 6 mesi di sedia a rotelle. I mancati introiti del tour, la conseguente pressione della casa discografica, l’immobilità di Plant e le notevoli tensioni interne, fecero sì che la band decidesse di pubblicare subito un nuovo lavoro in studio, nonostante i tempi risicati per scrivere materiale inedito.
L’album divenne oggetto di discussione a partire dalla copertina, in cui erano ritratte diverse scene di persone intente ad osservare una sorta di piccolo obelisco nero, chiamato “The Object”, noto per avere una valenza specifica in ambito magico. I quattro musicisti vennero nuovamente accusati di satanismo, esoterismo e stregoneria, tuttavia Jimmy Page dichiarò che altro non era che un riferimento al celebre film “2001: odissea nello spazio” del regista Stanley Kubrick.
Il disco viene introdotto da uno dei grandissimi capolavori del dirigibile: “Achille’s Last Stand”. 10 minuti di cavalcata epica, i cui testi si addentrano nella mitologia greca producendo un brano devastante. Tutti i membri sfoderano una prestazione sopra le righe, ponendo le basi per quello che sarà poi l’Heavy Metal moderno. “Cattivissimo” è Page, protagonista di taglienti assolo di chitarra durante tutta la durata del pezzo; il breve arpeggio acustico introduttivo è di grande effetto, e crea un contrasto evocativo che verrà riproposto da milioni di band future, non ultimi i Metallica.
Bonham è trascinante dietro le pelli e fornisce alla traccia la giusta “galoppante” struttura. Ma è Jones, il vero valore aggiunto: un suono di basso talmente moderno da ricordare le cavalcate di un certo Steve Harris, all’epoca, nome ancora sconosciuto al grande pubblico.
Eccellente infine Plant: la voce non risente assolutamente delle condizioni fisiche precarie.
“Presence” è album “storico”, anche per la presenza di un altro pezzo destinato a divenire un classico dei Led Zep, ovvero l’aggressiva “Nobody’s Fault But Mine” (ispirata a “It’s Nobody’s Fault But Mine” di Willie Johnson). Il ritmo molto coinvolgente e l’andamento generale ripetuto in modo maniacale, entrano subito in testa per non uscirne più per giorni.
Il duetto Plant-Page è in grande spolvero come in passato ed anche Bonham recita una parte da leone: l’ennesima prova corale, della qualità e della caratura dei Led Zeppelin.
Altro pezzo degno di nota è poi la conclusiva “Tea For One”, un rock blues struggente che sa di “Since I’ve Been Loving You part II”. In realtà non riesce nell’impresa di doppiarne la medesima magia, ma risalta per essere davvero ben suonata ed ispirata.
“For Your Life” è probabilmente la mia traccia preferita, caratterizzata da un sound roccioso dal sapore vagamente blues, in cui argomenti piuttosto piccanti sono affrontati in maniera molto esplicita. Con ogni probabilità uno dei brani meglio suonati dell’intera discografia zeppeliana, caratterizzato da un’intesa tra i 4 davvero palpabile: peccato non averla mai sentita o vista proposta dal vivo. “Royal Orleans”, “Candy Store Rock” e “Hots On for Nowhere” sono infine – parere personale – canzoni trascurabili e riempitive, caratterizzate da una certa superficialità di composizione e motivo dell’abbassamento della qualità complessiva dell’album.
“Presence” venne bistrattato dalla critica e resta forse il meno venduto della band (quasi 4 milioni di copie nei soli States, una fortuna per chiunque, ma decisamente sottotono rispetto allo standard degli Zeppelin). Le vicissitudini che portarono alla sua realizzazione, furono ad ogni modo, per forza di cose penalizzanti in questo senso.
Personalmente non ho mai ritenuto questo particolare capitolo targato Led Zeppelin un passo falso: al contrario, un buon prodotto che offre brani e spunti davvero interessanti.
La ricerca della magia unica del “dirigibile” tra questi solchi è un’impresa senz’altro destinata a fallire. Se tuttavia cercate muscoli e classe, “Presence” rappresenta di certo il miglior compromesso nella discografia della band.
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Tracklist:
01. Achilles Last Stand – 10:25
02. For Your Life – 6:24
03. Royal Orleans – 3:00
04. Nobody’s Fault but Mine – 6:16
05. Candy Store Rock – 4:12
06. Hots On for Nowhere – 4:44
07. Tea for One – 9:27
Line Up:
Robert Plant – Voce / Armonica
Jimmy Page – Chitarra
John Paul Jones – Basso
John Bonham – Batteria