Recensione: Primitives
Prima ancora di parlare di musica, non possiamo eludere una piccola quanto sorprendente particolarità. I The Room Colored Charlatans non hanno una pagina su enciclopedia Metallum. Elemento tanto banale quanto curioso e strano, dato che il quintetto dell’Indiana è giunto con Primitives al secondo disco. Elemento banale ma pur sempre problematico, dato che la bio messa a disposizione dai nostri non è proprio esaustiva e ci costringe ad ulteriori ricerche su internet, laddove veniamo informati, ad esempio, di una illustre collaborazione con Daniel Tompkins – ex TesseracT – in occasione della traccia conclusiva The Nexus Point. Un altro elemento curioso, che lascia intendere come i The Room Colored Charlatan non siano degli sprovveduti ed anzi abbiano in serbo più di una sorpresa.
Lasciamo dunque che sia la musica di questo Primitives a parlare per loro. Primitives che si presenta come una sorta di concept album basato su tematiche darwiniane ed evoluzioniste, tematiche che danno una curiosa idea della band di Indianapolis come predatrice di ascoltatori. Il suono dei nostri è estremamente solido, una sorta di incrocio tra prog, death, djent e metalcore, una miscela sempre più frequente, ma proposta dai ciarlatani con un piglio tutt’altro che anonimo.
Il gran lavoro della band è tenuto in piedi prevalentemente dalle chitarre di Justin Seymour e Robert Allen, mentre la sezione ritmica e il furioso screaming di Jared Bush caricano il sound di violenza ed immediatezza. Ne emerge dunque un sound vario e strutturato, capace di momenti al calor bianco come di squarci lussureggianti di pace, su tutti il passaggio tra Native Habitat e Apex predator. Se in molti chiamano alla memoria certi BTBAM, sembra impossibile non citare come il sound del gruppo del Midwest rielabori in modo molto affascinante quel Fluxion che aveva presentato al mondo i The Ocean. Un altro disco preso ad esempio, sebbene in chiave molto più death e meno post, è il Panopticon che ci aveva fatto scoprire gli Isis.
I due brani di punta però sono i due destinati alla chiusura di questo piccolo gioiello, la già citata Nexus Point e la magistrale The Atlas Artifact. Questi brani, che spiccano nettamente in un contesto di tutto rispetto, vengono infatti impreziositi da alcuni passaggi in clean, passaggi che, purtroppo, mettono in luce come i brani ascoltati in precedenza, pur essendo, ripetiamo, di buon livello, abbiano nettamente una marcia in meno.
Chi predica bene razzola male, e per fortuna viene da dire, dato che questi ragazzi, pur essendo ciarlatani di nome non lo sono per niente nei fatti. E c’è poco da fare, perché se quelle clean fossero state distribuite su tutto il disco ci troveremo qui ad elogiare qualcosa di molto prossimo a Portal of I, sebbene più compatto e meno folkloristico. Ad ogni modo un’ottima prova, che potrebbe aprire molte porte ai Room Colored Charlatan.
Tiziano Vlkodlak Marasco
La casa del Ciarlatano
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