Recensione: Prince Of Paupers
A poco più di un anno di distanza dalla precedente fatica discografica, si riaffacciano sull’affollato panorama melodico europeo i Grand Illusion, talentuoso trio nordico già protagonista in passato di alcuni piacevoli capitoli dall’inconfondibile radice scandi-aor.
Un insieme cospicuo di interessanti release pubblicate agli albori del nuovo millennio (con menzione d’obbligo per l’ottimo “Ordinary Just Won’t Do”), seguite da un lungo periodo di silenzio interrotto proprio nel corso del 2010 con l’uscita di “Brand New World”, altalenante album di come back che tentava – senza riuscirci in modo davvero completo – di rilanciare la carriera del terzetto svedese.
Non particolarmente efficace e discontinuo nella qualità delle composizioni, “Brand New World” appariva per lo più come lo sbiadito ricordo di una formazione dal buon potenziale artistico. Un disco con poca ispirazione e molto mestiere, imbottito da uno sterile auto citazionismo che impediva ai brani di andare oltre ad un involucro di formale eleganza, impermeabile però, a qualsiasi possibile espressione emotiva.
Insomma, nulla a che vedere con l’elite del settore.
È pur vero tuttavia che da qualche parte, come si suol dire, si deve pur incominciare. E per scrostare la ruggine del tempo, un passaggio di cosiddetto assestamento è da sempre più che accettabile.
Una logica che non genera equivoci e si dimostra ben calzante al fine di introdurre anche “Prince Of Paupers”, disco che si propone quale compimento di un’operazione di rinnovamento ora decisamente più concreta e reale, alla luce di una serie di brani che, pur non stupendo per inventiva o particolari colpi di genio, riesce in ogni modo a centrare senza patemi l’obiettivo minimo consentito. Ovvero quello di intrattenere piacevolmente l’ascoltatore.
Capolavoro, perfezione, eccellenza, superiorità. Tutti termini che forse non potremo attribuire nemmeno questa volta all’operato di Rydholm, Sundell e Svensson.
Tuttavia occorre essere in ugual modo un minimo obiettivi, soffermandosi con un pizzico di attenzione su quanto proposto dai Grand Illusion al fine di comprovarne l’effettiva bontà artistica.
L’aiuto di un nucleo di ottimi musicisti ad esempio, pare aver prodotto – una volta tanto – l’effetto desiderato. Ed è così che la presenza di Steve Lukather, Tim Pierce, Jay Graydon e Gregg Bissonette, nomi da “alta Premier League” dell’AOR, contribuisce a nobilitare un album che movendosi a cavallo tra l’ariosità del symphonic rock meno ridondante e la tipica leggerezza delle melodie scandinave, regala attimi di spensierato air play, per nulla innovativo, ma sempre fascinoso e gradevole.
È pur vero poi, che senza una trama di buon valore, gli attori possono ben poco. Un songwriting non certo ardimentoso nel ricercare soluzioni diverse dalla consuetudine, ma comunque sufficientemente focalizzato su caratteristiche quali scorrevolezza e facilità d’ascolto, compie in maniera più che dignitosa la propria opera di costruzione dei brani. Il risultato è la confezione di alcuni episodi di discreto valore, in cui strutture musicali agili e dirette si raccolgono attorno al tipico chorus orecchiabile ed a presa rapida, semplice, limpido e lineare.
C’è come sempre, molto della lezione dei Toto nell’amministrazione delle melodie, così come appare parecchio solida la radice tipicamente eighties, manifesta e presente un po’ ovunque. “Gates Of Fire”, “Better Believe It”, “Through This War”, “Gone”, “On And On” e “Under The Wire” sono canzoncine che non evocano prodigi o meraviglie ma che si lasciano ascoltare in assoluta scioltezza, piazzando in mostra qualche bell’assolo di chitarra, suoni rotondi ed un incedere gaudioso ed esuberante che suscita simpatia e sa rendersi coinvolgente.
Tutte caratteristiche sconosciute all’album targato 2010, di cui “Prince Of Paupers” è un’erede senza dubbio più solido e riuscito.
In fondo a gruppi come i Grand Illusion non sono richiesti capolavori o pietre miliari.
Un’ora di buona musica, alcuni brani graziosi, suonati con competenza ed atmosfere cariche di sensazioni positive – miste ad una punta di romanticismo – sono una ricetta classica che, come ogni abitudine, non offre grosse sorprese.
Ma che di tanto in tanto, può comunque rivelarsi una piacevole compagnia.
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Tracklist:
01. Gates Of Fire
02. Better Believe It
03. Prince Of Paupers
04. So Faraway
05. St. Teresa’s Love
06. Through This War
07. Eyes On Ice
08. Gone
09. Believe In Miracles
10. On And On
11. Under The Wire
12. Winds Of Change
Line Up:
Anders Rydholm – Tastiere / Basso / Chitarre
Peter Sundell – Voce
Per Svensson – Voce
Gregg Bissonette – Batteria
Tim Pierce – Chitarra
Steve Lukather – Chitarra
Jay Graydon – Chitarra
Danny Jacob – Chitarra
Kjell Klaesson – Chitarra
Muris Varajic – Chitarra
Staffan Stavert – Tastiere