Recensione: Principia Discordia

Di Emanuele Calderone - 7 Aprile 2013 - 23:08
Principia Discordia
Band: Malnatt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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76

I Malnàtt sono sicuramente tra i gruppi black che godono di maggior seguito nel Bel Paese. La band, nata a Bologna nel 1999, ha dato vita a cinque dischi che hanno riscontrato il favore non solo del pubblico ma anche della critica.

Il genere proposto viene affrontato in maniera ironica, il che rende la musica del quintetto davvero speciale. A quattro anni dall’uscita di “La voce dei morti”, che era riuscito nell’ardua impresa di non deludere le alte aspettative create da “Happy Days”, i Nostri tornano a fine 2012 con “Principia Discordia”, un lavoro che convince sin dalle prime battute.

Musicalmente siamo sempre al cospetto di un album che affonda le proprie radici nel black più classico, sebbene non manchino spunti thrash e passaggi al limite del death.

Il combo si diverte a costruire brani ben strutturati e piuttosto coinvolgenti: il songwriting risulta decisamente ben congegnato e solido e, pur senza brillare d’originalità, mette in mostra la personalità che il gruppo ha maturato nel corso del tempo.

Diviso in undici brani per un totale di cinquantuno primi di musica, il lavoro viene aperto da “Manifesto nichilista”, che parte subito in quinta: Bigat macina riff senza sosta, innalzando un muro sonoro che immediatamente travolge l’ascoltatore; il drumming di Lerd, assieme alle linee di basso di Aldamera, sostengono chitarra e voce con inaspettata veemenza, irrobustendo così il brano. Porz dal canto suo non si risparmia, sfoderando una prestazione di prim’ordine, grazie al suo scream acido e potente.

Sullo stesso schema si muovono tracce quali “Iperpagano”, “Il canto dell’odio”, “Ave discordia” e “Ho sceso dandoti il braccio”, tutte improntate sul black metal più classico e d’impatto.

I Malnàtt però danno il meglio di loro stessi quando decidono di osare un poco di più ed è così che nascono piccole gemme quali “L’amor sen va”, estremamente coinvolgente e dal flavour quasi avantgarde, piuttosto che la lunga “Ulver nostalgia” che, neanche a farlo apposta, riporta alla mente proprio gli Ulver dell’immortale “Bergtatt”.

Durante l’ascolto di tutto il platter emerge fin da subito l’ulteriore crescita di ciascun membro per quanto concerne l’esecuzione tecnica: un plauso va sicuramente al guitar-work, complesso ma mai fine a sé stesso, con punte di “virtuosismo” -relativo s’intende- che non mancheranno di soddisfare anche l’ascoltatore più navigato. Più che buono anche il lavoro di basso che, mai come in questo caso, trova lo spazio adeguato per esprimersi a livelli mai raggiunti prima dal combo.

Su ottimi livelli qualitativi si attesta anche la registrazione, chiara, potente e pulita, ma non per questo posticcia: gli strumenti suonano bene e risultano ben distinguibili l’un l’altro.

Non c’è che dire. I Malnàtt riescono ancora una volta a dare vita a un disco divertente e a tratti addirittura entusiasmante. Pur non rivoluzionando il genere, si percepisce una maturità compositiva davvero strabiliante, che determina la buona riuscita di un prodotto, questo, che siamo certi raccoglierà plausi un po’ ovunque.

Emanuele Calderone

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