Recensione: Profound And Profane
“In principio erano i Motorhead …………………….” che, con il loro Rock ‘n’ Roll sfacciato e pazzesco e con un sound riconoscibile “dopo solo tre note”, hanno ispirato intere generazioni di artisti volti alla musica estrema, gettando, di fatto, le fondamenta dello Speed e del Thrash Metal.
Tra questi gli Hammer Fight di Atlantic City, New Jersey, in attività dal 2011 e con all’attivo due Full Length: “Chug Of War” del 2013 e “Profound And Profane”, pubblicato il 25 marzo 2016.
Dediti ad un violento ed efficace Thrash Metal, che invita al Mosh più agitato, i quattro statunitensi hanno le idee chiare su come deve essere la loro musica: carica di un’energia tanto intensa da trasformarsi in un maglio sonoro che, uscendo dagli amplificatori, và a colpire impietosamente l’ascoltatore fracassandogli tutte le ossa.
Rabbia e cattiveria, ma anche irriverenza e sfacciataggine, permeano “Profound And Profane” che contiene dodici tracce immediate e dirette, più composte per far saltare le platee, con il contributo di piogge alcoliche e libagioni ad alto tasso di colesterolo, che non per l’ascolto in sede di tranquillità casalinga.
Nei quasi quarantasei minuti di durata dell’album si sente un po’ tutto quello che appartiene al panorama Thrash: dagli stili dei primi Slayer, Destruction e Metallica al derivato Groove Metal degli anni ’90, tra i quali i principali artefici furono i Pantera.
Il tutto amabilmente condito con lo sferzante sound del Professor Lemmy e soci, la cui influenza è evidente soprattutto nell’uso della voce e della ritmica, con il virtuosismo del più classico Heavy Metal, manifestato negli assoli suonati senza cadere nel tecnicismo fine a se stesso, e con quel tanto di Hardcore intrinseco dei pezzi più veloci.
Il risultato è valido e l’album scorre via bene, riuscendo a far battere il piede ed a far scuotere la testa grazie a quella spontaneità palpabile che fa perdonare le sbavature che ogni tanto saltano fuori dai solchi.
Queste riguardano essenzialmente la sovrabbondanza di richiami alle sonorità delle grandi band, che fanno sembrare il lavoro quasi un tributo e che fanno perdere un po’ d’identità al combo, dando quel senso di “già sentito” che a volte cade nello “scontato”. Pazienza, non tutti i gruppi devono per forza essere originali: l’importante è riuscire a sfornare musica che diverti e che, almeno per un po’, tenga lontani i problemi quotidiani. Filosofia “spiccia” e “da due soldi”, ma resa valida dai contenuti di “Profound And Profane”.
Venendo ai brani, con l’opener “Picking Up Change” gli Hammer Fight puntano direttamente a frantumare lo sterno per arrivare al cuore attraverso un riff essenziale, ma efficace ed un refrain dirompente ed anthemico. La carica energica divampa nella veloce “Target Acquired”, mentre la pesantezza dei suoni è l’elemento chiave di “Into the Dark”, traccia che porta il combo a pestare le soglie che conducono al Death Metal; buona la melodia dell’intermezzo acustico che anticipa l’esplosione finale.
Una batteria dirompente introduce la veloce ed incessante “Good Times in Dark Ages”, un pazzo rock’n’roll, mischiato con il più intransigente Heavy Metal, che lascia senza fiato. La successiva “Gods of Rock n’ Roll” è ancora più folle, impreziosita da uno scambio di assoli ai quale si unisce, verso la fine, la voce graffiante del Singer Drew Murphy. Con la sua insania è il pezzo più incisivo dell’album.
Il giro di boa è affidato a “Low & Broken”: fuori dagli schemi del gruppo è una ballad incentrata su una voce rabbiosa, ma rassegnata e sulla chitarra acustica.
Superata la metà del disco il Thrash più arrabbiato irrompe nel cervello con la potente e veloce “Private Stock”, mentre con “The Ultimate Sacrifice” ritmi di sabbattiana memoria conducono ad una buona alternanza tra pesante Groove Metal ed esplosiva velocità.
La seguente “Cell Mates” è improntata sulla ponderosità del tempo medio, mentre la velocità di “West Side Story” ricorda un certo modo di comporre degli Slayer. “The Crate” è un brano strumentale con un buon contenuto tecnico che ricorda i primi Metallica e “Cult of Conceit”, che chiude l’album, riassume egregiamente tutte le capacità compositive e strumentali del quartetto.
Da non trascurare la cover, che rappresenta esponenti religiosi, protettori dell’ordine, dittatori e faccendieri politici uniti a condurre la stessa micidiale guerra.
Concludendo, l’album è carico di passione e d’energia ed è ben suonato ed arrangiato. La volontà di voler spaziare nei grandi contenuti del passato si è dimostrata un’arma a doppio taglio, poiché ad episodi positivi e dirompenti ne sono stati affiancati altri scontati e ripetitivi. Questi ultimi non rovinano comunque la qualità dell’opera, che dimostra che il quartetto ha capacità e qualità tali per intraprendere un’onorata carriera che saremo ben contenti di seguire.
“You Can’t Stop Rock ‘N’ Roll” urlavano i Twisted Sister nel 1980. Dopo trentasei anni i connazionali Hammer Fight, con “Profound e Profane” hanno consolidato tale affermazione.