Recensione: Project: Driver
Nel 1985 un certo Jeff Scott Soto, che aveva appena terminato un tournee in Giappone in trionfo con i Rising Force di Yngwie Malmsteen, decide di lasciare la band del chitarrista svedese perché attirato dall’offerta di entrare in un supergruppo, i Driver: infatti la prima incarnazione della band vede gente del calibro di Craig Goldie alla chitarra, Tommy Aldridge alla batteria e Rudy Sarzo al basso. Per motivi imprecisi la band non realizza neanche un cd demo e quindi Soto e Goldie se ne vanno, il primo a incidere i lavori di Panther e Kuni, il secondo come axe man di Ronnie James Dio. Dunque i sopravvissuti Sarzo e Aldridge per non far andare in frantumi il progetto riescono a chiamare due grandi personalità della musica hard n’heavy: Rob Rock alla voce e Tony MacAlpine alla chitarra. Quindi questa sarà la formazione che nel 1986 dà alla luce questa piccola grande gemma di heavy rock americano, piena di feeling ma anche di tecnicismi da parte di Tony MacAlpine (come ricorderete anche ottimo tastierista).
Il pezzo di apertura del disco è Nations on Fire, (pezzo che Rob Rock propose lo scorso anno al BYH con la sua band solista) una rasoiata metallica dove si può notare l’alchimia perfetta della band, come ci si poteva immaginare gli assoli di MacAlpine sono molto belli, tecnici ma senza cadere nel ridicolo come tanti suoi colleghi (chi ha detto Micheal Angelo ?). La successiva Writings on the wall ha un sound meno heavy della track precedente ma è un heavy anthem veramente spettacolare con un andamento tipico di quegli anni (che purtroppo non ho potuto vivere in persona).
Stand up and fight si apre con il synth di MacAlpine e poi esplode in una linea di chitarra emozionante e anthemica, il ritornello (Stand up and fight for your right, stand up and fight be free !) è un vortice di potenza emessa dall’ugola del sempre verde Rob Rock. Alla fine del pezzo il bravo Aldridge dà prova delle sue capacità con una serie di rullate molto veloci e precise.
I primi 2 minuti della successiva Nostradamus sembrano quasi fuori luogo in un disco di heavy classico, invece Tony MacAlpine con le sue tastiere con il suono cromato e molto eighties riesce e trasmettere molte emozioni e ci porta all’epoca di Nostradamus, il pezzo poi esplode in un classico mid-tempo di hard n’heavy americano che può riportare alla mente le cose più heavy dei Dokken ma la band mantiene sempre una personalità dovuta alla classe dei quattro musicisti coinvolti nel progetto, a metà pezzo la chitarra infuocata di Tony MacAlpine riprende la melodia iniziale tanto per rivendicare che il vero protagonista del disco è proprio Tony.
Dopo un pezzo con un andamento più epicheggiante e cadenzato siamo di fronte ad un bellissimo up-tempo come Unknown Survivor, introdotta da un grandissimo riff il pezzo si snoda tra strofe veramente ben interpretate da Rob Rock e tra linee solistiche di chitarra mozzafiato.
Fantasy e Slave to my touch sono i pezzi più deboli del disco (ma non brutti anzi), la prima canzone è un mid-tempo molto buono che però poi cade sul ritornello risultando un po’scontato e diciamo banalotto, la seconda prosegue sul mid-tempo però non riesce a esplodere come gli altri pezzi del disco. La penultima traccia è I can’t see it in your eyes ed è ancora Dokken-style soprattutto nell’intro di chitarra, e l’ultima traccia è la classic-ballad You and I, una song piena di emozioni da dedicare alla persona più vicina sentimentalmente.(Ricordo che questo pezzo fu ricantanto nel 2001 da Rob Rock con la band dei Powergod in occasione del loro disco tributo ai gruppi culto degli anni ’80)
Il disco si conclude qua, e purtroppo la band si conclude qua : Rob Rock si mette in coppia con Chris Impellitteri sfornando buoni album, Tony MacAlpine prosegue la sua carriera solista (a volte con buoni risultati a volte troppo sperimentale e fusion), Aldridge decide di girare il mondo quindi si unisce ai Whitesnake e Rudy Sarzo prosegue la sua avventura con i Quiet Riot.
Secondo me un must per gli amanti delle sonorità heavy rock ’80!
Thrashing_Rage