Recensione: Promethean Gift
Chi ha sempre immaginato che la culla del black metal fosse la Svezia (o la Norvegia, per chi combatte la visione troppo thrash del black di Bathory), non ha evidentemente fatto i conti con una semi-sconosciuta band di Rovaniemi, circolo polare artico, Finlandia. Nata nel 1991, ha incarnato immediatamente lo spirito più “true” del black metal annunciando al mondo intero che quando loro suonavano black metal, i norvegesi a momenti nemmeno sapevano di che pasta fosse fatto il metal estremo. Questo ovviamente non deve aver colpito positivamente gli altrettanto pionieri norvegesi dell’epoca, Mayhem in testa, i quali però se ne sono fregati a differenza dei Darkthrone, presi invece di mira perché – a detta dei Black Crucifixion – responsabili della commercializzazione del black metal.
Certo che nel 1992 questa doveva essere decisamente una guerra tra poveri, ma poco importa: le leggende nascono anche grazie a conflitti ideologici o di principio, oltre che dalla musica, specialmente in un genere estremo come il black metal.
Che fine abbiano fatto dopo il 1993 non è ben chiaro, e non è nemmeno chiaro cosa li abbia spinti a pubblicare nel 2006 un full-length interamente registrato nei primi mesi del 1996. Speriamo, per la loro integrità morale, che non si sia trattato di una bieca operazione commerciale, anche se non vedo altri scenari plausibili.
Ironica la scelta di una label di nome “Soulseller” per pubblicare sia quel vecchio materiale e sia del materiale ancora più vecchio come questo Promethean Gift, un puzzle di pezzi risalenti al 1991, 1993 e persino 1996.
Tutto questo parlare di black metal lascerebbe presagire un album grezzo, violento, con forti dosi di thrash alternate a chitarre lerce e linee vocali ai limiti del sopportabile, e invece la sorpresa è grande: la band che, in pratica, si fregia di aver inventato il black metal, suona un ibrido molto interessante di heavy-doom con solamente un lontanissimo retrogusto di black primordiale testimoniato da una incalzante, seppur monotona, “Death Water“.
Le voci di Timo “Form” Iivari spaziano dal parlato al growl con eguale equilibrio, trascurando lo sguaiato scream che invece caratterizzava i primi vagiti del black metal scandinavo.
Il risultato è un album di alti e bassi, la cui disomogeneità scaturisce dalla presenza di materiale registrato in studio, registrato live e registrato in cantina nell’arco di cinque lunghi anni. Le chitarre sono fredde e i riff semplici e ripetitivi, come si conviene al metal finnico di primo pelo, mentre il basso – affidato a quei tempi a una vecchia conoscenza, Arjo Wennström dei Beherit – risulta sempre ben audibile nonostante le frequenti distorsioni a cui vanno incontro chitarre e persino le percussioni. Interessante l’intro, tutt’altro che tipica del black metal, anch’essa opera di un certo Marko Laiho di Beheritiana memoria, e interessante anche l’outro, che dona un certo valore acustico all’intera opera che, a conti fatti, verrà restituita alla storia come un esempio di dark metal primevale che sfocia persino a tratti nel gothic metal, complici delle tastiere minimali che diffondono un’atmosfera sepolcrale e maligna.
Un ripescaggio interessante, dunque. Un fossile fagocitato dal fiume impetuoso della storia del doom blackoide impigliato nella rete, dragato a riva e rilucidato alla meno peggio dalla Soulseller Records. Un pezzo di storia del quale la storia ha fatto finora a meno, e del quale non se ne sentiva particolarmente la necessità.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
TRACKLIST:
1. Promethean Gift
2. Serpent Of Your Holy Garden
3. Journey Into Myself (Through A Ritual)
4. Flowing Downwards
5. Suomi Finland Satana (Studio track 1996)
6. Black Crucifixion (Demo 1991)
7. Death Water (Demo 1993)
8. Flowing Downwards (Live 1993)