Recensione: Promise
Duro colpo per coloro che sono ancora intrappolati dal pregiudizio che vuole il metalcore essere un genere solo e soltanto per teenager ingellati e/o impomatati.
Già, perché i giovani (2016) torinesi Forbidden Season, alle prese con il loro debut-album “Promise”, possiedono un suono semplicemente strepitoso. Potentissimo, da strappare le budella, da rivoltare la pelle. Poderoso all’inverosimile, semplicemente devastante. Energia pura e cristallina che assume la forma delle dieci song terremotanti che compongono il platter.
A questo punto, trattasi di vera sorpresa anche per il metalcore stesso, raramente abituato a gestire intensità sonore come quelle elaborate dai Nostri che, è bene ribadirlo, non solo si cimentano con un metalcore dal sound modernissimo – addirittura avanzato in maniera tale da scatenare visioni post-apocalittiche di agglomerati urbani aventi dimensioni sterminate – , ma lo scelgono di quello iper-melodico.
Melodic metalcore per un sound titanico, capace di stop’n’go abissali (‘Gravity Fall’) ma anche di straordinarie soluzioni armoniche tali da rendere le song incredibili concentrati d’impeto sonoro e melodie trasognanti (‘Atlantis’, ‘Thank You for the Venom’). Per un antitesi musicale pienamente riuscita, in grado di sconvolgere emozioni e sentimenti, in grado di trasportare chi ascolta sul piano dei sogni, per immaginare a occhi aperti ciò che pompa a gran ritmo il cuore; eccitato in ciò dal gigantesco suono che si propaga da song spettacolari come le già citate ‘Atlantis’ e ‘Thank You for the Venom’. Dotate di ritornelli per nulla catchy, in grado di stamparsi per sempre nella scatola cranica, ove il “per nulla catchy” è lì per significare che non si tratta di facili soluzioni per acchiappare più gente possibile, tutt’altro.
Al contrario, l’incedere medio dei brani di “Promise” non è per nulla elementare, tantomeno semplice da digerire, data l’elevatissima quantità di elettricità che avvolge le note, a volte – addirittura – riottose e scalpitanti ritmi non lineari (‘I’ve Seen the End in Your Eyes’) di un drumming granitico, massiccio, scoppiettante.
Tuttavia l’abilità esecutiva ma soprattutto compositiva dei Forbidden Season non può che costringere a saltare fuori song come ‘The Human’, che rimettono tutto a posto in termini di melodia di gran classe. Aiutate, come da dettami di base del metalcore, da cori in clean, trascinanti e ariosi, i quali impattano con le micidiali harsh vocals di Mark Seasons, cantante dall’ugola infiammata anzi infuocata, abile a rendere le linee vocali dure e cattive. Di nuovo una contraddizione, insomma, che, inevitabilmente, assieme alle altre peculiarità più su citate, fa sì che lo stile del quintetto italiano sia immediatamente riconoscibile in mezzo a tanti altri.
A integrare l’impatto violentissimo dei Forbidden Season c’è anche l’elettronica e, pure, qualche inserimento di tastiera che, se possibile, pompano linfa a un sound già per sé monumentale. Unica concessione alla riflessione e all’intimismo è l’incipit strumentale di ‘The Rejected’, che, però, ha vita breve poiché spazzato via dai poderosi breakdown della strumentazione elettrica. Ottima l’idea che movimenta la closing-track ‘Promise’, basata su un monologo, cui si sovrappone, infine, la splendida musicalità di un ensemble che, a questo punto, si rivela essere una sorpresa clamorosa.
Melodic metalcore italiano?
Sì, perché no?
Forbidden Season!
Daniele “dani66” D’Adamo