Recensione: Promise Land

Di Fabio Vellata - 6 Marzo 2010 - 0:00
Promise Land
Band: Giant
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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82

Pochi sono i nomi in ambito musicale in grado di suscitare, al solo pronunciarli, sentimenti diffusi di rispetto, ammirazione e profonda stima per il valore, il significato e la grande qualità dimostrati.
Ancora meno, sono quelli che, tale voluminosa reverenza, hanno saputo racimolarla nell’arco brevissimo di un solo paio d’uscite discografiche, tanto dense, ricche ed ispirate da entrare di diritto sin da subito, senza attendere consacrazioni maturate col tempo, nella storia di un genere specifico.

Tra questi semidei, venerati dagli adoratori di uno stile particolarissimo come l’AOR, in prima fila non potranno mai mancare i giganteschi – è il caso di dirlo – Giant, band costruita dai fratelli Huff sul finire degli anni ottanta e capace di marchiare a fuoco le cronache del genere con due album fondamentali, tanto belli da apparire quasi inarrivabili: “Last Of The Runaways”, primo impatto fulminante datato 1989 e “Time To Burn”, successivo lapillo d’impareggiabile splendore uscito nel 1992. Due centri assoluti. Due colpi magistrali.

Una biografia breve, riassumibile in un’ascesa rapidissima, nell’oscuramento dei primi nineties e nella rituale reunion in memoria dei fasti antichi – sfociata nel corso del 2001 con il buon “III” – forniva i contorni a quelle che parevano essere le caratteristiche definitive di un mito destinato a rimanere “cristallizzato” e mai più riportato in vita.
Inutile nasconderlo. Sorprendersi ad ascoltare un nuovo capitolo griffato Giant oggi, in questo 2010 che temporalmente appare così lontano dagli scintillanti esordi, è un qualcosa che suscita una miscela ribollente d’emozioni, affastellate le une sulle altre in un turbine di memorie ed immagini, in alcuni casi, dal sapore persino contrastante.

Anzitutto, i primi a materializzarsi, sono due interrogativi di notevole consistenza. Alla luce della line up rivoluzionata per due quarti (solo uno dei due Huff, David, ed il bassista Mike Brignardello sono in organico a rappresentare la continuità), ha senso chiamarli ancora Giant?
Ma soprattutto, il trademark inconfondibile della band di Nashville, avrà saputo perpetuarsi sostenendo il confronto con una magnificenza che narra di splendori abbacinanti?

Alla prima domanda, in tutta onestà, risulta piuttosto complicato rispondere d’emblée, senza scantonare in qualche modo o evitare punti di vista che rientrano nel novero delle considerazioni personali. In effetti, in molti potranno sostenere che gli unici, veri ed immortali Giant, saranno per sempre quelli con Dan Huff alla voce ed alle chitarre, assecondato dal fido Alan Pasqua alle tastiere. Certo però, che trovarsi a fare i conti con un frontman della caratura di Terry Brock, leader degli altrettanto stratosferici Strangeways, non può far altro che muovere un minimo d’interesse, solleticando la curiosità per una “reunion” (termine probabilmente forzoso) che non appare completa ma, con l’innesto ulteriore di John Roth dei Winger alle chitarre, si manifesta come stimolante e foriera d’auspici carichi di un fascino poderoso. Una miscela Giant-Strangeways-Winger, ha di certo un che di pregevole, potenzialmente al punto da sopperire all’assenza di due dei membri storici del gruppo.
Tant’è, insomma. Al primo quesito, solo la sensibilità ed il gusto d’ognuno potranno offrire soddisfazione.
Quello che più pesa tuttavia, è senza dubbio il secondo enigma in ordine di citazione ma, come ovvio, non d’importanza.  “Promise Land” è un album che regge il paragone con quello che i fan ricordano ed amano dei grandi Giant del passato?

La risposta può essere rassicurante. In effetti, tra i solchi del disco sono reperibili sufficienti motivi per decretare il successo di un come-back ben assortito e completo dei caratteri primari alla base di un’opera di melodic rock di classe “superiore”. Un’ottima voce, quella del “divino” Terry Brock, solide prestazioni strumentali, suoni d’alta categoria ed un nucleo di pezzi – setto/otto se non altro, su di una scaletta piuttosto corposa – che può, a buon titolo, fregiarsi del miglior marchio di fabbrica dei fratelli Huff, almeno nel songwriting, ancora uniti come ai bei tempi (sette le tracce, in cui spunta anche il contributo del più celebre Dan).

Il gruppo “forte” di brani dell’album poi, è tanto eccellente da concedere – addirittura e per assurdo – successivo spazio al rammarico per una restante selezione meravigliosamente buona, ma non ai livelli folli delle ipotetiche “teste di serie”. “Believer (redux)”, il megasingolone “Promise Land”, title track e pezzo “lancio” del disco, la magnifica “Through My Eyes” (due dei regali offertici premusorsamente da Dan Huff) ed il sontuoso slow “Our Love”, squarciano porzioni di paradiso regalando suggestioni scintillanti in cui, il classico termine di “AOR Heaven” ha, ancora una volta, un senso pieno e concreto.
Poco da lamentarsi ad ogni modo, anche per quanto proposto nei restanti episodi presentati in tracklist. Una qualità di composizione ovunque strepitosa, infarcita d’immane classe ed ottimo mestiere, inanella una serie di canzoni piacevoli, ricche di calore e passioni in cui spadroneggia la voce di Brock e sorprende lo spumeggiante chitarrismo di Roth, per nulla in soggezione nel confrontarsi con l’ingombrante memoria di mr. Dan Huff.
“Never Surrender”, “Two Worlds”, “Plenty Of Love”, “I’ll Wait For You” e “Double Trouble” sono momenti ove i Giant “storici” di “Time To Burn”, tornano a rombare prepotenti quella miscela di rock virile ed orgoglioso, ingentilita da sapienti tocchi melodici, della quale i molti fan (come il sottoscritto) s’innamorarono una buona ventina d’anni fa.
Curiosa poi la parte conclusiva, in cui grande vitalità e suoni scalcianti si mescolano con spruzzate Van Haleniane, pestando sull’acceleratore di un hard rock robusto che un po’ perde il contatto con li marchio autentico ma, grazie ad un’energia debordante, riesce nell’intento di divertire, demolendo ogni residua riserva sulla bontà complessiva del platter.

Tirando le somme dunque, il verdetto su questa nuova incarnazione di un nome magico come quello dei Giant non può che profilarsi nei contorni di un successo pieno e senza riserve.
Ok, non sono i veri Giant. Ok, a volte le composizioni un po’ perdono aderenza con il passato e fuggono su stilemi diversi rispetto ad un trademark inconfondibile. Certo, “Last Of The Runaways” e “Time To Burn” sono destinati a rimanere irripetibili.
Eppure, soddisfatte e messe in inventario tutte le remore e le obiezioni proposte dai detrattori, quello che rimane di questo “Promise Land” è un giudizio inconfutabile ed oltre ogni ragionevole dubbio.

Un ottimo prodotto, con pochissimi punti deboli ed una qualità dei brani costantemente volta verso l’alto che, se non in grado di pareggiare la smisurata grandezza dei primi due album, si prende in ogni caso il lusso di superare il pur ottimo “III”, ultimo capitolo realizzato prima di questo insperato come back.

Insomma, chiamateli pure come volete, ma al loro nuovo disco garantite un po’ di giusta attenzione. Si accettano scommesse sul fatto che a molti, sia nuovi che vecchi fan, non dispiacerà affatto…

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Tracklist:

01.    Believer (Redux)
02.    Promise Land
03.    Never Surrender
04.    Our Love
05.    Prisoner Of Love
06.    Two Worlds
07.    Plenty Of Love
08.    Through My Eyes
09.    I’ll Wait For You
10.    Dying To See You
11.    Double Trouble
12.    Complicated Man
13.    Save me

Line Up:

Terry Brock – Voce
John Roth – Chitarra
Mike Brignardello – Basso
David Huff – Batteria


 

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