Recensione: Promised Land
Recensire un album come questo è per me impresa improba, vista l’importanza che questo disco ricopre nella mia formazione umana/musicale. Reduci dal gran successo commerciale ottenuto anni prima con il precedente “Empire” (1990), e con alle spalle un’ingombrante eredità di capolavori quali “Rage for Order” (1986) e soprattutto “Operation Mindcrime” (1988), i Queensryche erano chiamati a confermare quanto di buono prodotto fino ad allora. Per ricaricare le “batterie” i nostri decidono di prendersi un lungo periodo di riposo e di presentarsi anni dopo (1994) con questo “Promised Land”. Quest’album spiazzò notevolmente fans e critica a causa dell’atmosfera che si respira in esso. Il viaggio che la band ci fa fare è un lungo cupo cammino nei meandri della mente umana, nelle disillusioni che la società ci impone (Nel loro caso figlia dello stabilizzante successo ottenuto!). Il suono di questo disco si discosta moltissimo da quanto proposto in precedenza, soprattutto dal trend imperante in quel periodo dove la moda del grunge imponeva suoni grezzi, mentre qui è raffinato e complesso (ascoltate “I Am I” in cuffia per rendervi conto dell’enorme quantità di sovraincisioni presenti). Non è ASSOLUTAMENTE heavy, ma l’atmosfera che si respira si. Si parte con l’introduttiva “9:28 am.” dove possiamo ascoltare il viaggio a ritroso che la mente umana fa mentre sopraggiunge la morte, per poi partire con la deflagrante “I Am I” dove il divino Geoff Tate, più teatrale che mai, urla il proprio diritto ad essere se stesso, coadiuvato da una band che non sbaglia un millimetro. La devastante “Damaged“, forse il brano più duro dell’album, ci illustra i danni provocati dalle ossessioni. Segue la splendida “Out of Mind” dove assistiamo ad una prestazione da urlo da parte del sempre più divino Geoff Tate, e mi preme segnalare il solo di chitarra del grande Chris De Garmo, semplice ma efficace. Altra ballad è “Bridge” dove Tate “recita/canta” un testo di De Garmo che narra le difficoltà di un rapporto padre/figlio che non potrà mai essere recuperato. Con la title track tocchiamo un apice di drammaticità che solo con la passata “Suite Sister Mary” si era riusciti a raggiungere. Epocale! Tocca a “Disconnected” introdurci nella seconda parte del disco. Un brano particolare, dove un ossessivo riff di chitarra accompagna la caldissima voce di Geoff Tate impegnata questa volta in un inedito “Spoken Words”. “Lady Jane” è forse una tra le ballads più belle mai scritte dai nostri, e probabilmente in senso assoluto. Meravigliosa! “My Global Mind” e “One More Time” sono due mid tempo che mostrano in ogni modo come la band sappia suonare del rock passionale e per nulla scontato. Chiude la splendida “Someone Else?“, dove un pianoforte accompagna un Geoff Tate ancora una volta insuperabile. E pensare che di questa canzone esiste una versione più lunga con tutta la band, ma i nostri hanno preferito questa più “semplice”. In conclusione questo è il disco che in assoluto mi ha più emozionato. Non credo di sbagliare se consiglio a chiunque un ascolto, senza però farsi prendere gli scompensi dall’assenza di riff metal o “screaming vocals”. Qui c’è poesia, sentimento. Abbiamo una band all’apice delle loro capacità. Scott Rockenfield ed Eddie Jackson coadiuvano meravigliosamente il grande lavoro svolto dalle chitarre di Michael Wilton e Chris De Garmo, ed il tutto è meraviglioso amalgama per la voce stratosferica di Geoff Tate il quale emoziona più che mai con i suoi racconti, senza necessitare delle antiche acrobazie vocali alle quali ci aveva abituati. Un album perfetto!
Tracklist:
1. 9:28 a.m.
2. I Am I
3. Damaged
4. Out of Mind
5. Bridge
6. Promised Land
7. Disconnected
8. Lady Jane
9. My Global Mind
10. One More Time
11. Someone Else?