Recensione: Psychogeist
Dopo il felice caso discografico dei polacchi Riverside, l’est europeo sta cominciando poco alla volta a richiamare sempre maggiori attenzioni. E’ dunque con una certa ottimistica curiosità che i più si saranno avvicinati al debutto degli ungheresi Age of Nemesis, autori già di svariati lavori, alcuni dei quali in madrelingua, sotto il più inflazionato monicker Nemesis.
Primo tratto distintivo della band sembra essere la passione per psicologia e tematiche affini, come dimostra l’intricato concept sviluppato dalle prime sei tracce. Al centro della narrazione un ragazzino dalla mente sconvolta, forse testimone della sospetta morte del padre, e una madre (guardacaso psicologa) che tenta di far luce sui segreti celati nella sua mente. Chi a questo punto avrà lasciato la propria mente correre per un attimo ai tempi e alla storia di Scenes from a Memory non avrà avuto tutti i torti, e i sospetti di una rubusta influenza di mamma Dream Theater diventeranno certezza già con le prime note di Fate’s Door. Sono in particolare le linee vocali del cantante Zoltan Kiss a ricordare da vicino i percorsi di James Labrie, pur con le opportune (ed evidenti) differenze di tecnica e classe. Tuttavia, purtroppo, quando la voce degli Age of Nemesis si inoltra su quei sentieri che furono già battuti dal singer canadese ai tempi di Awake, finisce talvolta scoprirli fin troppo impervi e irti di ostacoli, così da finire in certi frangenti a traballare più del dovuto, finanche a perdere completamente la bussola e perdersi in deviazioni di dubbio gusto. Parimenti le tastiere tendono spesso a porsi a mezza via tra Moore e Rudess, pur attestando più spesso le proprie preferenze per il primo, e i risultati si rivelano decisamente più incoraggianti – sebbene il confronto sia di per sé ingrato.
Ma al di là delle affinità stilistiche i veri problemi nascono a livello di songwriting. Composizioni troppo spesso piatte e banali, melodie monotone e prive di mordente, ostinatamente ripetute nelle loro soluzioni tutt’altro che vincenti fino alla noia e oltre. Ne sono esempi i refrain di Faceless Enemy, citato anche nella title track, o dell’orientaleggiante Eyes of the Snake, che addirittura fuori concept sembra recuperare le – infelici – linee melodiche dell’opener. Le cose più interessanti le offre dunque una fitta schiera di riff particolarmente dura e pesante, ai confini del thrash, purtroppo soffocata in più occasioni da tastiere non sempre felici nella scelta dei suoni.
Tra le cose meglio riuscite si segnalano le due strumentali, l’articolata Goddess Nemesis, in cui le doti tecniche della band (formata, sia chiaro, da musicisti decisamente preparati) possono finalmente appoggiarsi a un degno livello compositivo, e l’atipica Awaking Minds, giocata sul reciproco accompagnarsi di pianoforte e chitarra. Per il resto da annotare solo sporadici sprazzi ispirati – l’oscuro attacco elettrico della già citata Psychogeist, alcuni scambi tra tastiere e chitarre nella mediocre ballad Mommy’s Crying – sepolti da soluzioni abusate o poco convincenti.
Se questi ragazzi fossero stati giovani alle prime armi, ci si sarebbe potuti sforzare di cogliere gli aspetti più positivi e promettenti del loro lavoro, chiudendo un occhio sulle ingenuità e incoraggiandone uno sviluppo maggiormente personale nell’attesa di una completa maturazione. Ma da una band sulle scene già da quasi una decina d’anni è lecito e necessario pretendere qualcosa di meglio di un lavoro che si appoggia sulle spalle robuste di titani del genere, ripercorrendo sentieri già noti con passo zoppicante. Facile dunque che un album come questo sia destinato a restare a lungo sullo scaffale: la scena odierna offre opere di ben altro spessore.
Tracklist:
01. Fate’s Door
02. Grey Room
03. Faceless Enemy
04. Mommy’s Crying
05. Psychogeist
06. Breaking Away
07. Goddess Nemesis (Instrumental)
08. Eye Of The Snake
09. Karma
10. Abraxas
11. Awaking Minds (Instrumental)