Recensione: Psychopathy
Chissà cosa penserebbe il liutaio Antonio De Torres Jurado, colui che definì le dimensioni della chitarra classica spagnola nel 1850, dopo aver ascoltato come suonano oggi i Thrashers della sua terra, in particolare Jonathan Soler e Xavi Rodriguez Trabal, le due asce dei catalani No Amnesty? Probabilmente riterrebbe che la tradizione dei grandi chitarristi spagnoli, come Paco De Lucia per il flamenco e Andres Segovia per la classica, non venga proprio rispettata se si imbracciano delle ‘solid body’ elettriche collegate prima ad un distorsore e poi ad un amplificatore dal quale le note escono a tutto volume.
E’ però certo che, se pur il Thrash non derivi dalla tradizione della penisola iberica, gli artisti appartenenti alla scena spagnola hanno ereditato la stessa passione per la musica dei loro grandi antenati.
Questo è quello che dimostrano i No Amnesty con ‘Psychopathy’, il loro album d’esordio, pubblicato il 14 novembre 2017 attraverso la label Xtreem Music.
Il loro è un Thrash violento e dinamico ma al contempo melodico, con molte aperture verso il Metal più classico. Il combo pesca a piene mani dalle produzioni old-school sia europee che d’oltreoceano, inserendo elementi più moderni soprattutto a livello di sezione ritmica. Il risultato è ‘niente di nuovo’ ma suonato e composto in modo più che soddisfacente.
Richiamando i più rappresentativi, si passa da brani dove è la velocità l’elemento chiave (‘NOTLD’), pur se spezzata da cadenze repentine, ad altri molto articolati (‘Among the Blind’), forse troppo a dirla tutta, ad altri ancora che sono dei veri e micidiali assalti di cavalleria (‘Evil Priest’). Non manca un pregevole intermezzo acustico (‘The Prophecy’) che richiama la tradizione della chitarra spagnola, di cui si accennava sopra, ed un brano lento ma incisivo e potente (‘Eternal Night’).
In quasi tutte le tracce viene dato molto valore agli assoli, con parecchi passaggi, scambi di Twin Guitars ed una continua ricerca sonora che vira prepotentemente verso l’Heavy Metal più calibrato, alternando la melodia alla violenza acustica. Si citano, su tutti, gli assoli contenuti in ‘Evil Priest’, ‘Fight Below the Fire’, ‘Snake Eyes’ e ‘Eternal Night’.
La sezione ritmica (Mija al basso e Pol Esteban Sanchez alla batteria) fa la sua parte, creando un vero muro sonoro che non si sfonda e mettendosi in evidenza in più di un occasione.
Il cantato è affidato ad Albert, che si deve essere passato più volte la carta vetrata a grana grossa sulle corde vocali prima di registrare. La sua voce non è male, ricordando un po’ l’appena scomparso Warrel Dane dei Sanctuary e dei Nevermore e Tim Baker dei Cirith Ungol, anche se pare che tenda a sforzare un po’ troppo nei momenti più violenti.
Come lavoro d’esordio non c’è male, con parecchie buone idee supportate da una capacità tecnica sopra le righe. Qualche sbavatura va sistemata ma la qualità non manca.
Giudizio più che positivo. Bravi No Amnesty.