Recensione: Psychotic Banana
Mangia, Prega, Blasta
È uscito l’8 Novembre per la Out Of The Line Music il primo Full Length di Hand Of Juno, fresco di nuova lineup e accompagnato dall’uscita del video dell’ultimo singolo dal titolo ‘Hug My Death’.
Contrariamente alle parole che ho già speso per questo gruppo, scritte più che altro d’impulso, guidata da una febbricitante necessità di far conoscere ai nostri lettori questa nostrana parentesi industrial dalle numerose influenze, quelle per il suo album di debutto seguono un suo ascolto più temperato e riflessivo.
Se avete ascoltato i loro singoli, posso già anticiparvi “che non avete ancora visto nulla”: se la proposta dei primi quattro pezzi era l’antipasto, quello che rimane dell’album è certamente la portata principale.
Un album, ‘Psychotic Banana’, che più che un disco è una degustazione, un’esperienza palatale fatta di tante portate dalle consistenze diverse, dagli aromi alle volte accennati, alle volte predominanti, che accompagnano e arricchiscono una materia prima già di qualità (ragazzi … che cosa fa Masterchef! – ndr).
Sebbene potrebbe non essere apprezzata dai puristi, l’influenza della techno su alcuni brani dai synth spinti e della sezione ritmica doom su altri, ci fa capire che la band vuole mostrare un ventaglio di ciò che può (e sa) fare. Come mi disse una volta la miglior batterista che conosco, in un localissimo dialetto: “No ghe xe roba mejo dea Techno”.
Il filo conduttore dell’album non è preponderante sulla scelta dello stile e, seppure la base industrial persista quasi dovunque, i pezzi di distinguono in un crescendo di stili.
Anche se le più timide uscite dei singoli ‘Right Now’ and ‘We’ve Built the Line’ avevano lasciato presupporre un filone più delicato, la band ha cambiato le carte in tavola con uscite come ‘Psychotic Banana’ e ‘Polline’, entrambe nettamente in contrasto con le precedenti.
Concentrandoci invece sulla chiusura dell’album abbiamo la ballad ‘The One’, introspettiva, un compendio di sofferenza in chiave riflessiva che racconta di un dolore amaro, uno spillo acuminato nell’anima.
Ma le ultime due portate sono le mie preferite.
‘Hug My Death’ consegna la nuova line up al pubblico con un video in presa diretta dove la band ci mostra che non ha paura di spingere, dove alla sempre dominante sezione ritmica, con i potenti blastbeat di Helly Montin e le letterali manate alle corde di Marco Valerio al basso, si affianca la chitarra più tecnica della virtuosa Francesca Mancini. Alla voce non veniamo delusi, Melissa Bruschi riconferma le sue doti di vocalist spaziando anche lei tra i vari generi, contraddicendo quelli che ancora sostengono che il growl sia roba da uomini.
Indubbiamente il pezzo più potente dell’album, che ci lascia speranzosi in una deriva più estrema nelle successive (e speriamo non troppo distanti) pubblicazioni della band, che parte oggi con il suo primo tour che tocca Germania e Svizzera e la terrà occupata per tutto novembre.
Un novembre ricco di “primi” per la band: prima uscita, primo tour, primo video con la formazione aggiornata …
E che degustazione sarebbe senza l’amaro finale: ‘The End’ dalle influenze quasi doom, dalle sonorità oscure, melodiche, nebbiose, che per poco non ha rubato il primato di pezzo preferito a ‘Hug My Death’.
Un album che ho letteralmente consumato e che riconferma la mia opinione su uno dei progetti più innovativi che la nostra penisola ci sta offrendo nell’ultimo anno.
Brave ragazze … però non fateci aspettare troppo per il prossimo lavoro!