Recensione: Psychotic Supper
I Tesla sono stati una delle tante bands che hanno rischiato di finire nell’ oblio dopo i fasti di fine anni Ottanta.
Lo spilt del 1994 sancì una pausa artistica di quasi sette anni, interrotta nel 2001 con un doppio live e successivamente con l’interessante “Into the now”, datato 2004, albums in grado di ridestare una certa attenzione su un gruppo che come pochi aveva saputo incarnare l’ideale spirito hard ‘n’ heavy : un sound dove la potenza e la componente melodico/malinconica convergevano in soluzioni di rara espressività.
I primi tre album in studio più il meraviglioso live, l’ acustico “Five man acoustical jam” del 1990, vennero infatti classificati da fans e addetti ai lavori come tra i momenti più avvincenti di un rock fatto col cuore e impregnato di emozioni e passioni forti, indissolubilmente legate a molti immaginari della quotidianità della provincia americana.
Il fatidico terzo album per la band di Sacramento rappresentò la consacrazione definitiva nel parorama hard ‘n’ heavy a stelle e striscie.
Come detto, dopo i fenomenali “Mechanical Resonance” e “The Great radio Controversy” a cui fece seguito l’ unplugged “Five Man Acoustical Jam”, vera musa ispiratrice di una moda che imperversò per tutta la decade, il gruppo giunse all’ appuntamento col terzo full-lenght in studio con la consapevolezza dei propri mezzi e la certezza di non poter sbagliare.
Più complesso, elaborato e meno diretto delle precedenti prove in studio, questo “Psychotic Supper” rappresenta senza dubbio l’ episodio della maturità artistica: più variegato e deciso, con un songwriting ancorato a reminiscenze dal sapore southern-blues; evidente come le intenzioni della band siano quelle di guardare avanti, ampliando i propri orizzonti musicali senza dimenticare il recente passato da top ten di Billboard.
L’ opener “Change In The Weather” è forse una piccola dichiarazione d’intenti, subito rafforzata da varianti class/heavy che caratterizzano la successiva, e primo singolo, “Edison’s Medicine” (curiosamente unica song che beneficia del testo nel booklet… ), episodio di grande impatto dove i nostri, per l’ ennesima volta, perorano la causa del fisico Nikola Tesla, grande scienziato e genio incompreso del secolo passato.
Ma vogliamo soprassedere alle sfuriate tipicamente di derivazione heavy come “Don’t De-Rock Me”, dalle grandi accelerazioni chitarristiche al cardiopalma?
Nessun timore tuttavia: le armonie e il crescendo di “Call It What You Want” ci riportano su territori meno ostici: è grazie a questa miscela che il gruppo ha saputo ammaliare e ingraziarsi le attenzioni dei fans di tutto il mondo, quando la voce aspra di Jeff Keith si abbassa per disegnare attimi meno irruenti e più poetici.
Toccano infatti alla successiva “Song and emotions” i picchi artistici più significativi del disco: la sintesi e il compendio di un percorso emotivo scandito da un crescendo di Zeppeliniana memoria, con il tributo al grande e compianto Steve “Steamin” Clark, chitarrista dei Def Leppard scomparso pochissimo tempo prima della pubblicazione di questo album. La canzone è un viaggio lungo oltre 8 minuti dove la band mette a nudo l’ attitudine al feeling che da sempre ha contrassegnato il proprio sound: momenti acustici e sussurrati sfumano a favore di un hard graffiante e rabbioso improntato sulle sei corde di Frank e Tommy.
La dimostrazione della versalità di questo full-lenght è dimostrata poi da una canzone come “Time”: nervosa, isterica e spiazzante; quasi alienata rispetto a molta della produzione anni ’80 del gruppo.
Un breve intermezzo, intitolato ”Governement personal”, ci introduce alla sofferta,“Freedom Slaves”: evocativa già dal titolo, è l’ ennesimo punto di forza del platter e si rivela in grado, quasi profeticamente, di toccare argomenti molto delicati e d’ attualità anche al giorno d’oggi. Ma è “Had Enough” vagamente di ispirazione Motley Crue (nel riff iniziale) a mantenere alta la tensione: ritmiche sostenute ed aspre sono il preludio a uno dei capolavori del gruppo; la poetica “What You Give”.
Questa volta la song vive sulla voce di Jeff Keit, abilissimo a modularla in bilico tra dolcezza, passione e grinta, forgiando un’ atmosfera quasi intimista che, come nel già citato album acustico “Five Man”, ha contribuito a creare molte fortune di questa band. Non da meno un altro pezzo da novanta è la coinvolgente “Stir It Up”: sembra quasi che la musica del gruppo fuoriesca da una vecchia radio di metà novecento, contribuendo a far venire a galla tutta l’ anima blues di cui questo platter è profondamente impregnato.
Il livello compositivo non accenna a cedimenti: e il rock n roll di “Can’t stop”, meditato e frizzante allo stesso tempo e con aperture vagamente “air”, è insieme a “Toke About It”, un affondo verso un rhythm and blues che viene rafforzato dalla presenza e dall’ espressività dell’hammond.
Tutto questo contribuisce a dare la giusta dimensione a un disco classificabile tra le vette compositive non solo di quell’anno, ma in generale del periodo aureo in cui i Tesla hanno lasciato una traccia indelebile.
Tracklist:
- Change In The Weather
- Edison’s Medicine
- Don’t De-Rock Me
- Call It What You Want
- Song & Emotion
- Time
- Government Personell
- Freedom Slaves
- Had Enough
- What You Give
- Stir It Up
- Can’t Stop
- Toke About It
Andrea “ryche74” Loi