Recensione: Punch
Vengono dalla Svezia e si chiamano Token. La loro storia inizia nei primi anni novanta, ma solo dopo lo scioglimento e la relativa reunion i nostri si fanno conoscere nel 2002 con il loro primo album Tomorrowland (con alla voce H.B. Handerson, già con Scudiero, Norum e Alien), un discreto esempio di hard rock e melodia. Il ritorno sulla lunga distanza, targato 2004, prende il nome di Punch e vede due new entry nella band: il cantante Mattias Ahlén e il batterista Patrick Johansson (Malmsteen). La proposta è catalogabile nuovamente (almeno in modo ufficiale) come un hard rock melodico dalle tinte AOR, ma la realtà è un po’ diversa. Infatti, sebbene i suoni moderni delle chitarre e delle tastiere tendano ad omogeneizzare il tutto, la proposta dei nostri spazia lungo tutto lo spettro del rock “duro”, accarezzando a più riprese il dark rock romantico di HIM e Sentenced (più nel sound di alcuni brani che nella struttura degli stessi) e l’hard ‘n’ heavy più classico, senza disdegnare qualche timida puntatina nel progressive metal. Il tutto è ben miscelato, tanto che risulta difficile una netta divisione tra i brani che protendono maggiormente verso l’uno o l’altro stile. Suoni moderni dicevamo, che ben si sposano con la voce di Alhen, bella, anche se forse non troppo personale, ben impostata su stilemi classici e dunque ben sfruttata.
Il disco, pervaso da melodie non troppo allegre, inizia con Tear Down The Wall che, insieme a brani come Sometimes (uno dei più riusciti del lotto) e la dolce ballad Save me, mette in mostra il lato più accattivante e mainstream della band fatto di atmosfere un po’ malinconiche e chitarre semplici ma efficaci. Si “rockeggia duro” invece con On the Move (un brano simile ad alcune cose di Jorn Lande), The Sin, Wake Up (forse la più moderna nello stile e nella sostanza), Dreaming (dal forte retrogusto neoclassico) e la scoppiettante Free I’m Gonna Roll che oltre ad essere l’unico brano veloce del disco è anche un ben riuscito omaggio al metal classico, tanto da ricordare gli Iron Maiden di una ventina di anni fa (“palesemente” anni ’80 il pre-ritornello). Il lato più marcatamente AOR, o comunque vicino all’hard rock melodico, viene fuori tutto con Can’t Heal (riff a la Bon Jovi e ritornello a la Fair Warning) e Turn Back The Time, a chiusura di un album sicuramente ben riuscito. Da segnalare anche la presenza del bonus video di Tear Down The Wall, purtroppo un po’ penalizzato dalla scelta di registrarlo in un bianco e nero poco espressivo: più che un effetto “claustrofobia” o “malinconia” (entrambi facilmente ottenibili giocando con saturazione e filtri) è venuto fuori un effetto “tristezza” (la mia nel vedere il video).
Se non stiamo parlando di capolavoro, lo stiamo facendo di un prodotto comunque molto vario e molto valido che si fa apprezzare sia per la buona verve compositiva che per la classe dei singoli, trasparsa da ogni brano e in ogni situazione. Certo forse quest’attitudine “modern-rock” potrà spiazzare chi già conosceva la band o chi non è molto avvezzo a certe sonorità, ma sono allo stesso tempo convito che potrà essere apprezzata dai più. Aspettando, se ci sarà, la terza prova quella che dovrebbe essere della “verità”.
Nota: dal sito ufficiale della band è possibile scaricare un’anteprima di tutti i brani presenti sul cd e la versione integrale del video Tear Down The Wall.
Line up:
Mattias Ahlén – vocals
Johan Sjöberg – guitars
Mikael Rosengren – keyboards
Niclas Holmkvist – bass guitar
Patrik Johansson- drums
TrackList:
01. Punch In (Intro)
02. Tear Down The Wall
03. Free I’m Gonna Roll
04. Sometimes
05. Wake Up
06. Falling
07. Dreaming
08. On The Move
09. Save Me
10. The Sin
11. Media Doll
12. Can’t Heal
13. Turn Back The Time
14. Punch Out (Outro)
15. Tear Down The Wall (Video Bonus Track)