Recensione: Punishment for Decadence
1988: il mondo rimane letteralmente stordito dall’infinità di lavori thrash che le innumerevoli bands statunitensi continuano a sfornare con un ritmo davvero “annichilente”.
Grazie a questa prolificità quasi tutta l’attenzione si concentra in questi luoghi lontani lasciando ai più sconosciuto ciò che stava accadendo nel nostro continente. Non credo che in molti si accorsero di quello che molto più tardi venne riconosciuto come uno dei migliori e aggiungerei convincenti combo thrash europeo.
Gli svizzeri Coroner nacquero sotto la guida di Tom G. Warrior dei connazionali Celtic Frost, band rivale solo dal punto di vista musicale, grazie all’aiuto del quale registrarono il primo album. Il trio elvetico con questo Punishment For Decadence si scrolla completamente di dosso la dipendenza da Tom e riesce a confermarsi come l’apripista verso un nuovo tipo di thrash dai toni straordinariamente eclettici. In questo album troverete delle strutture compositive decisamente complesse perfettamente supportate da soli tre straordinari musicisti. Tommy T. Baron (Tommy Vetterli) è il perno attorno al quale ruota il successo di questa band, il suo stile è decisamente funambolico e barocco negli assoli dallo stampo tipicamente malmsteeniano, cosa assolutamente nuova in un ambito thrash. Di non meno importanza è l’aspetto ritmico del suo lavoro, nonostante la notevole complessità dei riff è infatti impercettibile la mancanza di un secondo chitarrista. Se da una parte Tommy stupisce con le sue magie Ron Royce non perde un colpo al basso e riesce a comportarsi in maniera altrettanto virtuosistica. Sono certo che nessuno degli ascoltatori abbia mai sentito nel thrash anni 80 un basso ed una chitarra duettare, certe volte addirittura all’unisono, a queste folli velocità con queste ritmiche estremamente variegate. Uno spettacolo per le orecchie quindi che non avrei difficoltà a definire sotto il termine prog/thrash. Il cantato è estremamente cupo e rabbioso; possiamo parlare di un vero e proprio stile “ringhiato” che spalanca le porte verso quello che poi diventerà il cantato grind. Probabilmente è la produzione l’unico punto debole di questo album, non è escluso infatti che in certi punti possiate avere l’impressione di trovarvi di fronte ad una sorta di crogiuolo di suoni e comunque in generale la resa risulta confusa. Un vero peccato, mai come in questo caso una produzione migliore avrebbe innalzato enormemente la godibilità generale del lavoro. Tra gli episodi migliori del cd troviamo “Masked jackel” e “Skeleton on your shoulder”, due veri classici del thrash europeo nei quali sono gli stop ed i cambi di tempo più folgoranti a farla da padrone, in particolare il secondo viene impreziosito da parti acustiche di grande impatto. Da citare anche “Arc-Lite”, un brano strumentale dove Tommy si diletta con arpeggi in velocità ed un assolo memorabile sotto una base furoreggiante, e l’interessante cover della hendrixiana “Purple Haze”. Insomma chi non conosce ancora questo gruppo sono convinto che rimarrà sconcertato nello scoprire una delle discografie più pregevoli dell’intera scena thrash mondiale nonchè questa perla di album.