Recensione: Purging the Human Condition

Di Daniele D'Adamo - 26 Febbraio 2017 - 16:32
Purging the Human Condition
Etichetta:
Genere: Djent 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Footage Of A Yeti, un nome senz’altro originale, nel panorama *-core, pieno zeppo di moniker-frasi più o meno simili. *-core che, tuttavia, dal deathcore, nello specifico, nel caso dei Nostri, si è tramutato nell’ancor più ostico djent.

Djent oscuro, buio, tetro, diverso da quello… ordinario. Forse più asciutto e meno visionario, quello di “Purging the Human Condition”, full-length di debutto del quintetto del Queens. Una buona ragione per giustificarne l’attenta osservazione, questa, poiché l’album stesso, ricco di elementi profondi, va ascoltato più e più volte; vincendo l’iniziale, istintivo rifiuto per un genere che tutto è, fuorché melodico.

“Purging the Human Condition”, difatti, di primo acchito, manifesta indubbiamente i caratteri di un malloppo indigesto, soprattutto per via dei continui, ripetuti, quasi ossessivi stop’n’go che, invece, alla lunga, si rivelano inaspettatamente l’arma vincente dello stile del combo statunitense. Perché, come una trivella a roto-percussione, i poderosi, possenti, taglienti breakdown si fanno strada fra la carne per raggiungere le zone più nascoste della mente. Dando luogo a una strana sensazione di angoscia, di pericolo imminente, di ansia sottile e avvolgente.

Specialmente la gigantesca opener-track ‘D.R.E.A.M. [Death Rules Everything Around Me]’, spaventoso rimbombo che cerca il suo angolo d’entrata dal ventre; facendo letteralmente saltellare a tempo le budella ele altre interiora. Mike Pellegrino mischia screaming e inhale con esiti fausti: l’ideale tipo di vocalist per questo stile, probabilmente. Perché il djent deve far male, deve far soffrire l’apparato uditivo, deve spremere il pensiero. Non è cosa per romantiche armonie, per ritornelli catchy o perlomeno orecchiabile. È metallo purissimo, affilato come la lama di un bisturi, riflettente come il mercurio allo stato liquido. Che s’infila, gelido come il ghiaccio, appena sotto il livello cosciente dell’intelligenza che pulsa nel cervello per riesumare echi lontani di ritmi tribali, ormai dimenticati nelle frange del DNA, pur tuttavia esistenti. Esattamente come le timide creature che, assumendo nomi diversi a seconda della collocazione geografica, da eoni rappresentano mito e terrore degli uomini: gli Yeti.

Terrore psicologico, ancor prima che reale, poiché incarnato nei cromosomi che riportano la specie umana ai primordi delle ere. Ma che, come moderna evocazione di paure arcaiche, si può percepire con decisione, lungo le sette tracce di “Purging the Human Condition”.

In fondo i Footage Of A Yeti non sembrano aggiungere né togliere nulla, a quanto già si sa del djent. E così è. I quali, però, senza poi scervellarsi in dissonanti dissertazioni musicali, lo interpretano a modo loro, donandogli l’aurea dell’unicità, il marchio della riconoscibilità.

Daniele “dani66” D’Adamo

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