Recensione: Purification Through Violence
“Purification Through Violence” rientra in quella categoria di dischi che non ha mezze misure: o si ama o si odia. Provo a mettermi tra questi due estremi cercando in maniera neutrale di toccare alcuni punti essenziali di questo debut-album degli americani Dying Fetus, che da sempre dividono alcune frange del metallo estremo. La mente che regola il combo di Annapolis è senz’altro tra le più prolifiche che calcano le scene, e porta il nome di John Gallagher. Partendo dall’America del ritmo, da quello che i coloni importarono dalla nera Africa, a quello del jazz e dello swing, fino al funk e all’hip hop, Gallagher lo manipola come materia prima per creare, forgiare e sfornare una miriade di devastanti riff e groove sul quale sono basate le composizioni della sua creatura ‘mai nata’.
Perché i Dying Fetus, come i ‘cugini geografici’ Suffocation e Morbid Angel, contestualizzano il discorso ritmico, estremizzandolo a favore di un cervellotico e mai scontato songwriting, dove le vibrazioni della sei corde del leader toccano il suolo per creare una base solida su cui poggia il brontosauro che emerge dalla sua ugola. Sin dall’intro di “Purification Through Violence” possiamo riconoscere l’alito del mostro con il suo istinto di sopravvivenza, che prima spaventa i deboli e poi li aggredisce ferocemente. E se non bastasse la sua sola presenza a spaventarvi, a dargli man forte è l’ululato terrificante di Netherton, che va a compensare e a riequilibrare le frequenze di Gallagher – un incrocio tra Barnes e Worm – , che nonostante il timbro sotterraneo riescono a far percepire ogni singola parola, a differenza della maggior parte dei suoi brutali colleghi. Lo stesso Netherton fa inoltre il doppio gioco col basso, sia come complice della chitarra, che come amalgama con il drumming di Belton, creando groove e mid-tempo che saranno tra i marchi di fabbrica della band. E, se l’entrata nelle grazie della Relapse Records coinciderà con la produzione del masterpiece “Destroy The Opposition”, da allora la band inizierà il suo momentaneo declino, dovuto in parte alla pulizia del suono – si lascia alle spalle quel sound grezzo e marcio caratteristico dei primi album – ma soprattutto alla poca ispirazione nelle composizioni e all’importante partenza del compagno fedele Netherton, che sposterà le sue energie nei Misery Index. D’altro canto potremmo discutere sulla qualità della registrazione e la scelta di mastering e editing di “Purification Through Violence”, ma rimando quest’aspetto al proprio gusto personale, quello su cui non possiamo obiettare sono i ventinove minuti che costituiscono le sue otto tracce.
Perché ci troviamo di fronte a composizioni il cui scopo è di scuoterci dall’inizio alla fine. L’opening “Blunt Force Trauma” e “Beaten Into Submission”, introdotte dal disumano verso di Gallagher, sono caratterizzate da cambi di tempo repentini che mettono subito in chiaro le intenzioni dei Dying Fetus: frastornarci non dandoci punti di riferimento per più di qualche secondo, partendo e portando ad alt(r)i livelli i lavori dei primi Suffocation. “Skull Fucked”, tra i cavalli di battaglia dell’intera produzione del combo, si dimena tra hardcore e death metal con le due voci che, alternandosi su ritmiche estreme, conducono al refrain, dove la cadenza gutturale di Gallagher istiga a un headbanging permanente. Tempi dispari e atmosfere gravi introducono “Permanently Disfigured”, che evolve in una sezione massacrante e in una sfuriata chitarristica; mentre “Raped On The Altar” – la cui intro non ha bisogno di commenti – è una chicca dall’inizio alla fine, compreso l’intermezzo spagnolo che stempera la furia e il devastante riffing. “Nothing Left To Pray For” merita una menzione per un elemento che non emerge in questo disco ma che in futuro sarà parte dello stile della band, il virtuosismo in fase solistica del leader, che incentra queste otto composizioni principalmente su riff micidiali, dando poco spazi a soli, sweep e tecnicismi. “Nocturnal Crucifixion”, presente nella primo demo “Bathe In Entrals”, datata 1993, continua il discorso intrapreso e ci accompagna alla sputata “Scum (Fuck The Weak)”, autentica prova di coraggio per i Nostri, sia per la valenza storica del brano che per la personale esecuzione, indice di convinzione dei propri mezzi tecnico/espressivi.
Con l’inno di battaglia dei Napalm Death i Dying Fetus chiudono la porta in faccia a questo primo capitolo della loro saga ufficiale, ma allo stesso tempo aprono nuove strade che porteranno il combo all’apice della loro creazione, quel “Destroy The Opposition” che li consacrerà alle cime più alte del metallo pesante.
Vittorio “VS” Sabelli
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Tracce:
1. Blunt Force Trauma 5:26
2. Beaten Into Submission 2:50
3. Skull Fucked 2:55
4. Permanently Disfigured 3:25
5. Raped On The Altar 3:55
6. Nothing Left To Pray For 3:55
7. Nocturnal Crucifixion 3:23
8. Scum (Fuck The Weak) 2:53
Durata 29 min.
Formazione:
John Gallagher – Voce e chitarra
Brian Latta – Chitarra
Jason Netherton – Basso e voce
Rob Belton – Batteria