Recensione: Pygmalion and His Images
Narra la leggenda che un antico re di Cipro, sdegnato dai mille vizi della natura femminile, decise un giorno di ritirarsi in solitudine rinunciando una volta per tutte al matrimonio. Abile scultore, dopo interminabili sforzi riuscì a ricavare dall’avorio l’effige della donna ideale, quale mai era esistita e mai sarebbe potuta esistere. Della sua magnifica creazione giunse infine a innamorarsi, e lungamente pregò Afrodite affinché di farle dono del soffio vitale. La dea acconsentì: poco alla volta il petto della statua iniziò a sollevarsi e abbassarsi lentamente, gli occhi si dischiusero. Galatea, questo era il nome dell’eburnea fanciulla, aveva preso vita. Ella divenne la sposa del suo stesso creatore, e dalla loro unione nacque Pafo, fondatore dell’omonima città cipriota, nella quale fu eretto un tempio in onore della dea Afrodite.
Il nome di quel nobile scultore era Pigmalione, e il suo mito è narrato da Ovidio nel libro decimo delle Metamorfosi.
Nutritissima è la schiera di artisti di ogni specie sedotti dal fascino dell’idillio tra Pigmalione e Galatea. Al novero di costoro si aggiunge oggi anche una promettente metal band emiliana. Ispirati dalla versione del mito ritratta nelle tavole del britannico Edward Burne-Jones, gli State of Mind hanno prodotto la propria interpretazione musicale del mito. Secondo la traccia del pittore di Albione, la formazione reggiana ha realizzato quattro brani, uno per ogni dipinto, destinati a scandire le fasi salienti della narrazione. E il risultato è senza dubbio molto interessante.
La cura nella realizzazione di questo EP si evince in ogni dettaglio, dalle liriche al booklet, passando per la produzione che, sebbene gestita dalla stessa band, raggiunge standard di qualità ben più che discreti. Dal punto di vista musicale a giocare un ruolo determinante sono le tastiere di Cristian Agolini, agili e versatili, oltre che di cruciale importanza per l’evocazione di quell’atmosfera a cavallo tra classicismo e modernità attraverso la quale il combo di Reggio Emilia intende riportare in vita il mito. I frequenti scambi con le chitarre gemelle di Alex Agolini e Nicola Denti si collocano certamente tra i punti di forza del disco, avvincendo per dinamicità e accuratezza. Non è certo da mena il contributo di Mirko Lambruschi alla batteria (coadiuvato dal produttore Fausto Tinello al basso), autore di una prestazione davvero impressionante, sempre autorevole nel dettare con forza e precisione i tempi ai compagni di squadra. Purtroppo solo la prova al microfono del già menzionato Alex Agolini non sembra all’altezza, né del lavoro della compagine strumentale in generale, né del suo stesso operato alla chitarra in particolare. Troppo fragile pare il suo timbro per gestire a dovere le impegnative linee vocali con cui deve cimentarsi, tanto che ad ampi tratti la voce è costretta ad affannarsi oltremisura nel tentativo di ovviare con l’estensione a un evidente difetto di potenza. A sua parziale difesa va registrato un palpabile sforzo interpretativo che mitiga, ma non cancella, i problemi di esecuzione.
Ma veniamo alla tracklist. Sembra inutile tentare di offrire un’analisi dettagliata dei singoli pezzi, strettamente concatenati tra loro, lontani dalla consueta forma-canzone e articolati in una sequenza fluida e progressiva. Ci si trova qui al cospetto di un’unica, grande creatura musicale in continuo mutamento, da ascoltare senza interruzione dall’inizio alla fine. In tal modo a essere valorizzata è la composizione in toto, che proprio nel proprio scorrevole divenire esprime le sue migliori qualità. Non sarà di conseguenza possibile segnalare tra i migliori passaggi molto più che alcuni frammenti sparsi in mezzo ai singoli brani – è il caso della sezione centrale di The Soul Attains – o, a testimonianza dello stretto legame tra pezzo e pezzo, i collegamenti fra i diversi capitoli – come in occasione dell’incipit di The Hand Refrains. Un ulteriore notazione, ma stavolta in negativo, va fatta per la lunga porzione di testo goffamente recitata durante la seconda metà di The Godhead Fires. La maldestra interpretazione rovina in parte il buon lavoro strumentale sullo sfondo, e lascia in bocca un sapore amaro che neppure gli azzeccati cori conclusivi riescono a scacciare del tutto.
Senza dubbio l’esordio degli State of Mind consegna una band meritevole di grande attenzione da parte degli appassionati, soprattutto in prospettiva futura. Dal canto suo Pygmalion And His Images è un lavoro di pregio, ma che pure avrebbe potuto godere di un’accoglienza ben più entusiasta se non fosse stato per pochi, ma decisivi, difetti di realizzazione. Primo tra i quali, una prestazione al microfono non proprio convincente.
Ma questo è solo l’inizio per gli State of Mind, e se la band si dimostrerà capace di ovviare alle proprie debolezze, il futuro potrebbe riservarle parecchie soddisfazioni.
Tracklist:
1. The Heart Desires (5:17)
2. The Hand Refrains (8:35)
3. The Godhead Fires (9:13)
4. The Soul Attains (15:10)