Recensione: Pyromide
Non sono molto conosciuti, tuttavia denotano un talento indubitabilmente interessante i finlandesi Temple Balls, rock band che con il terzo album in quattro anni di carriera, “svolta”, entrando a far parte del vasto gruppo di artisti promossi dalla tentacolare Frontiers Music.
Ci era arrivato, in modo sommario e distratto, qualcosa alle orecchie della loro precedente produzione, utile nel definire il gruppo nordico come assimilabile al filone “stradaiolo” dell’hard rock dai distintivi tratti moderni. Un accostamento che – a dispetto di un’ispirazione iconografica di stampo precolombiano che suggeriva qualcosa più affine all’heavy power – poteva senza problemi metterli a contorno di band quali Crazy Lixx ed ultimi Hardcore Superstar.
Gruppi rinomati, capaci di mescolare con grande abilità la rudezza del rock sleaze alle soluzioni melodiche di fascino prettamente europeo, cui i Temple Balls fanno riferimento in modo più o meno evidente sin da “Traded Dreams“, esordio datato 2017.
Un profilo stilistico che rimane inalterato anche nel nuovo “Pyromide”, sebbene il peso specifico della componente melodica appaia incrementato in modo netto e palese, tanto da sconfinare più volte nelle lande di un melodic rock di chiara ispirazione scandinava.
Viene facile quindi chiamare in causa Art Nation, Eclipse e soprattutto H.e.a.t.
E nominiamo gli H.e.a.t decisamente non a caso: ad occuparsi della confezione di questo terzo capitolo discografico, infatti, c’è proprio Jona Tee, celebre tastierista dell’eccelso gruppo guidato (di nuovo) da Kenny Leckremo e tra i principali artefici del loro (rinnovato) successo.
Discreto talento, buon istinto per la melodia accattivante, aggressività controllata ed il solido contributo di un navigato ed esperto marpione: il risultato che ne deriva è – ovvio – un disco godibile in tutti i sensi, veloce da ascoltare e tutto sommato longevo nel tempo.
Non c’è nulla di cui vergognarsi nell’assimilare lo stile di altre band ed apparire – in fondo – poco originali. Un peccatuccio probabilmente impossibile da evitare per il quintetto finnico che, al netto di una personalità non proprio spiccata riesce ad allineare una serie di canzoni brillanti e briose, strumentalmente arrembanti e di certo molto gradite a chi è radicato negli interessi a questo tipo di sonorità.
Perseguendo con costanza questa strada, potranno diventare dei beniamini dei molti affezionati del genere.
I brani, agili e sciolti, con ritornelli corposi ed armonie vigorosamente immediate, innervano un terzo cd che senza dubbio rappresenta, ad oggi, l’apice della produzione della formazione proveniente dai mille laghi.
Nulla per cui strapparsi i capelli o inneggiare al miracolo. Musica ben fatta, belle canzoni, suoni performanti: “Unholy Night”, “You Better Run”, “Heart of a Warrior” e “Thunder from the North” sono esempi significativi di un album riuscito.
Hard rock con qualche lontano sentore power ad animarne lo spirito talora battagliero ed indomito.
Niente male insomma: se Frontiers ha deciso di puntare su di loro, promovendo la carriera di questo – sinora – misconosciuto gruppo finlandese, i motivi ci sono tutti.
E piuttosto evidenti.