Recensione: Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt
Decisamente difficile dire con esattezza cosa siano stati i Gorgoroth per la scena Black Metal. Capostipiti, di sicuro, insieme a molti altri norvegesi della “seconda ondata” (dove per prima, lo sappiamo, si intendono Venom, Hellhammer & Celtic Frost, piu’ gruppi minori). Superfluo anche dire che il trittico Pentagram/Antichrist/Under the Sign Of Hell abbia rappresentato, nel breve spazio di 3 anni, quanto di piu’ gelido la scena norvegese abbia espresso, con qualche picco di bizzarria, specialmente nel terzo disco.
Poi, da Destroyer, or About How to Philosophize With the Hammer, iniziò la metamorfosi: il gruppo si lanciò lentamente su idee più industrial, su suoni e strutture “sperimentali” (per quelli che erano i canoni dell’epoca, teniamolo presente) e la line-up si sfaldò: quello che era un nucleo lentamente consolidatosi – con Pest alla voce, dopo la partenza dell’abrasivo Hat, attivo sul debut – lasciò spazio a “collaborazioni” esterne, con il nuovo vocalist Gaahl a farsi gradualmente spazio, sino a divenire il cantante fisso dei Gorgoroth sul seguente Incipit Satan.
Obiettivamente, quello che seguì non fu all’altezza con i precedessori. Il controverso contratto Nuclear Blast, iniziato con Destroyer, terminò con un Twilight of the Idols (In Conspiracy with Satan) ben sotto le aspettative di chi aveva amato le atmosfere dei Gorgoroth originari; e anche dopo il passaggio alla neonata Regain Records, con Ad Majorem Sathanas Gloriam, non vi furono miglioramente netti: la band continuò semplicemente a sfornare il suo black eterogeneo (a volte solo incoerente) e a far notizia più per la propria immagine, anacronistica nel periodo in cui il black aveva ormai perso qualsiasi credibilità a livello di “leggenda”. L’apoteosi si raggiunse poi con il famigerato DVD Black Mass – Kraków 2004 e le sue donne nude e pecore impalate, così come l’outing (sui giornali) di Gaahl e lo split esplosivo della line-up, che portò a due Gorgoroth: quelli di Gaahl e del bassista King Ov Hell, e quelli del fondatore e leader originario Infernus, vituperato a mezzo stampa dagli avversari, decisamente molto più bravi di lui ad apparire sulle copertine. Il resto è noto: Infernus vinse la causa legale e mantenne il moniker Gorgoroth, Gaahl & co. lo cambiarono in God Seed e giurarono di portare avanti il verbo dei veri Gorgoroth… per poi vedersi abbandonati dallo stesso carismatico Gaahl subito dopo.
E volete sapere una cosa? I Gorgoroth, quelli veri, ci hanno guadagnato. E noi con loro. Quantos Possunt ad Satanitatem Trahunt – fermo restando che agli scandinavi bisognerebbe togliere per legge la possibilità di scrivere in latino – è infatti un salto indietro di 15 anni, a quegli esordi tanto acclamati; e vi assicuro, lo è in modo totalmente credibile. Ok, dimentichiamoci che al basso (comunque impossibile da sentire nel mixing, ovviamente) abbiamo Frank Watkins, uno che comunque la storia l’ha fatta con gli Obituary; è la combo Infernus/Pest (finalmente redivivo) a dare vita a quello che è probabilmente l’unico vero album della seconda ondata uscito dopo il 2000.
Pennata continua in pieno stile scandinavo, suoni alla Grieghallen (anche se non hanno registrato lì), gelo, atmosfera e melodia: gli ingredienti base per un disco che non vuole inventare, vuole reinventare, cosa oggi probabilmente più difficile.
Tutti i brani rispettano in pieno il canone dei primi ’90s, infatti, e lo fanno senza risultare tristi nostalgie di senescenti reliquie musicali: Infernus è rimasto congelato a quegli anni e la sua ispirazione con lui. L’intera tracklist può infatti essere descritta colparagone ai citati tre album iniziali: dall’opener Aneuthanasia, la più thrashy del lotto, vicina a Under the Sign of Hell; alle “melodiche” Building a Man, Cleansing Fire e Human Sacrifice, che a volte rallentano ma mantengono intatto il feeling. Ma è un brano come Satan-Prometheus (il più classico degli accostamente classici) a chiudere degnamente il disco con le sue pennate black e la sua melodia, fino ai cori epici che ne riempiono il chorus, courtesy of Norway anni ’90. Imprescindibile nella sua semplicità.
Come semplice e ottimo è il drumming di Tomas Asklund, che prima della discutibile ultima incarnazione dei Dissection aveva suonato in gente come i Dawn, ricordiamolo; la produzione ne esalta a dovere il basilare stile, riempiendo giustamente i pezzi senza mai renderlo invadente.
Quantos Possunt ad Satanitatem Trahunt è più di un disco, quindi: è un revival che sembrava ormai impossibile e che molti, razionalmente, non ritenevano nemmeno giusto compiere. Io ero tra quelli. Poi ho ascoltato il disco.
Lunga vita ai (veri) Gorgoroth!
Alberto Fittarelli
Discutine sul forum nel topic relativo!
Tracklist:
1. Aneuthanasia 02:19
2. Prayer 03:33
3. Rebirth 06:34
4. Building a Man 03:23
5. New Breed 05:29
6. Cleansing Fire 03:13
7. Human Sacrifice 03:46
8. Satan-Prometheus 05:37
9. Introibo ad Alatare Satanas 00:53