Recensione: Quantum
Terzo studio album – strumentale – per i californiani Planet X dell’ex-Dream Theater Derek Sherinian. Dopo ben cinque anni di attesa, che avevano lasciato il ricordo di un disco studiato come Moonbabies, tornano tenendosi sempre stretti il loro carretto zeppo del solito bagaglio tecnico da sfoggiare attraverso l’uso di certi stilemi compositivi che a breve andremo ad analizzare.
Chi ha in mente, così su due piedi, quello che il tastierista, Virgil Donati e Tony MacAlpine concepirono nei primi anni del 2000, ha già una mezza idea di quello che ritroverà in Quantum. Vanno però fatte delle precisazioni al riguardo perchè non ci troviamo vis a vis con un clone del full-length del 2002, tantomeno con i ricordi sfumati del debut album Universe.
Le coordinate stilistiche qui adottate prendono come materiale di partenza lavori fusion e progressive. Tali concetti musicali vengono mescolati, caricati di distorsione più del dovuto se si parla di fusion e rallentati se si parla del lato progressive della musica qui espressa. Non c’è niente di nuovo.
Poter scindere ogni singolo settore delle canzoni in tracklist porterebbe a definire blocchi compositivi che si richiamerebbero a lavori di band come Chick Corea Elektric Band, Yellowjackets, addizionati per l’occasione da qualche richiamo alle sonorità già espresse con gli ex compagni Petrucci, Portnoy & Co. e, non ultimi, con molti assoli che, sebbene di qualità elevata, sanno già di sentito e stra sentito.
Nemmeno qualche frangente più tiepido qua e là riesce a far godere l’ascolto come invece altri addietro sono riusciti a fare (si ricordi nel caso le collaborazioni tra Stuart Hamm e Frank Gambale) attraverso l’utilizzo della componente fusion mescolata alla dolcezza di qualche spruzzata di smooth jazz. Qui si è stati troppo carenti di rock. Certo, proprio il rock è quello che in sostanza manca, perchè non tutto è ingrediente per un perfetto sapore musicale che i più possono amare se non si infarcisce il complesso col giusto collante. Potete ora immaginare quanto sia difficile donare un certo calore a composizioni così fatte.
Il risultato si attesa quindi – come prevedibile – a metà strada tra l’incompiuto e lo statico. Una musica che non sa bene dove andar a parare e che con l’ascolto tende a rinchiudersi piano piano attorno ai propri tecnicismi perchè ostentatrice di se stessa, quindi ancora troppo fredda ed asettica. Quello che forse gli artisti Planet X non riescono a cogliere è che la musica non è solo sfoggio manuale ed intellettivo, ahimè, è anche anima. Un disco molto personale, egoista mi verrebbe da dire.
Troppo prevedibili, la tecnica prevale pesantemente sulle variazioni e sulle sfumature appena percepite che, se ricamate di maggior melodia, avrebbero potuto di certo farsi ricordare più a lungo e senza tanta pesantezza. Un disco che è tutto e niente, probabilmente amato di più sui banchi di un conservatorio che dalle memorie di molti fan di nicchia o no che siano, ma ai quali, in tutta onestà, non sento di consigliare l’acquisto a scatola chiusa.
Un piccolo passo avanti rispetto al passato è stato fatto, ma se tanti anni hanno portato questo risultato ancora non ci siamo.
Per sentire l’apice eloquente di queste musiche imboccate la strada che porta alla casa del fusion o prendete quella dei palazzi progressive e lasciate perdere questo ibrido viandante senza dimora perché, oltre a raccontare davvero poco di sé, non ha la forza nemmeno di farvi sognare con la sua arte.
Nicola “nik76” Furlan
Tracklist:
01 Alien Hip-Hop (7:09)
02 Desert Girl (6:02)
03 Matrix Gate (4:07)
04 The Thinking Stone (4:10)
05 Space Foam (4:44)
06 Poland (5:21)
07 Snuff (4:55)
08 Kingdom of Dreams (6:46)
09 Quantum Factor (7:09)
Line up:
Derek Sherinian: tastiere
Virgil Donati: batteria
Rufus Philpot: basso