Recensione: Queen
Scrivere della musica degli anni ’70 porta sempre ad una forte emozione, vista l’importanza che ha assunto tale decennio per questa tribale forma d’arte.
Parlando più strettamente della musica Rock, genere allacciato a quanto trattato dalla nostra webzine, di cui il Metal è la sua più naturale evoluzione; tralasciando il grande lavoro svolto all’epoca da cantautori capaci di esprimere senza timore il loro pensiero come Bob Dylan, Neil Young ed i nostri Fabrizio De Andrè e Francesco Guccini, si può dire che negli anni ’70 gli artisti proseguirono il lavoro avviatosi sul finire del decennio precedente, ossia la transizione del Rock ‘N’ Roll da musica di intrattenimento e divertimento giovanile (come nata negli anni ’50) a qualcosa di più profondo, complesso e sperimentale, dando il via definitivo al Progressive, alla Psichedelia ed all’Hard Rock, oppure all’esatto contrario, rendendo il tutto grezzo, sfacciato e volgare con la nascita del movimento Hardcore – Punk. Lo scopo dei musicisti era però comune: lanciare messaggi importanti a livello sociale, diventando rappresentanti ‘in prima linea’ del pensiero giovanile e ci fu chi lo fece in modo più riflessivo e chi in modo più diretto.
Ovviamente c’è chi vede, di quel decennio, soprattutto gli aspetti negativi, come il crescere violento dell’abuso di stupefacenti, il ‘Bloody Sunday’, la guerra del Kipur ed i molteplici atti terroristici … ma lasciamo questi tristi eventi agli esperti, qui si parla di musica!!!
Il 1970 vede l’infissione di vere pietre miliari: escono gli album ‘Deep Purple in Rock’, ‘Led Zeppelin III’ e ‘Paranoid’, rispettivamente di Deep Purple, Led Zeppelin e Black Sabbath, un trittico fondamentale per l’Hard Rock e lo sviluppo del futuro Heavy Metal, allora in gestazione, ciascuna con il suo caratteristico sound: i primi molto pesanti, i secondi sofisticati ed eterogenei, i terzi sulfurei e scuri come la pece.
Fu l’anno dell’ultima esibizione pubblica di Jimi Hendrix al concerto tenutosi all’isola di Wight, poco prima che la sua stella si spegnesse dentro un appartamento londinese.
Il 1970 fu anche l’anno in cui nacque un gruppo destinato alla fama mondiale, a diventare grande oltre ogni misura, capace di unire fans di ogni genere, dal thrasher più intransigente al discotecaro più incallito: i Queen.
Il gruppo nacque dall’unione di Farrokh Bulsara, diventato poi Freddie Mercury, con il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor, entrambi negli Smile. Successivamente, a completare definitivamente la formazione, si unì il bassista John Deacon, dopo l’abbandono prima di Mike Grose e poi di Barry Mitchell.
La fortuna dei Queen fu quella di riuscire ad amalgamare un istinto selvaggio con una capacità tecnica-compositiva fuori dal comune di tutti i suoi componenti e nel saper convivere con i diversi caratteri, mantenendo ognuno la propria personalità: dal più esuberante del vocalist Freddie Mercury, vero frontman da palco dagli strabilianti gusti glamour, a quello più pacato di John Deacon, che invece suonava indossando semplici gilet.
Musicalmente seppero unire la crudità dell’Hard Rock con le dolci melodie delle ballate, sperimentando senza timori nuove sonorità senza accontentarsi di raggiungere risultati mediocri o puramente commerciali, ma puntando sempre al massimo, ottenendo una loro precisa identità: in poco tempo i Queen suonarono in modo unico e furono immediatamente riconoscibili.
Intanto che il gruppo prendeva coscienza di sé il mondo musicale continuava a stupire: nel 1971 uscirono ‘My Sweet Lord’ ed ‘Imagine’, rispettivamente degli ex Beatles George Harrison e John Lennon, i Led Zeppelin incisero ‘Starway To Heaven’ ed i Doors ‘Riders of the Storm’, tutte canzoni destinate ad entrare nel firmamento per sempre, attuali ancora oggi. Uscì ‘Aqualung’ che portò definitivamente al successo i Jethro Tull e si tenne il ‘Concert for Bangladesh’, primo evento benefico
Negli anni a seguire vennero pubblicati album essenziali da parte di David Bowie, Elton John ed America e, nel 1973, vennero dati alle stampe nientemeno che ‘The Dark Side of the Moon’ dei Pink Floyd, ‘Who Do We Think We Are’ dei Deep Purple, ‘Houses of the Holy’ dei Led Zeppelin, ‘Sabbath Bloody Sabbath’ dei Black Sabbath e ‘Quadrophenia’ degli Who.
Ed è questa una parte della ‘concorrenza’ che i Queen dovettero affrontare per ‘uscire dal guscio’, per tentare d’imporsi, in altre parole: per emergere.
Situazione mica facile, facendo un paragone simile alla scena Thrash di dieci anni dopo, dove chi voleva emergere doveva ‘sgomitare’ parecchio tra i grandi della nuova musica estrema.
I Queen sgomitarono pubblicando, quello stesso anno e attraverso la EMI, il loro primo platter dal titolo omonimo.
Trattasi di un lavoro che rappresenta la voglia di raggiungere il successo con un sound energico, dinamico duro ed eclettico, risultato della loro perizia, come ben specificato sul retro della copertina: ‘No synthesizers’, niente sintetizzatori, tutti gli effetti sono il frutto di sovra incisioni e sperimentazioni eseguite con i propri strumenti, niente altro.
‘Queen’ è un disco a tratti enfatico, eclettico, raffinato ma anche duro e pesante. Risente delle influenze Hendrixiane, dei Led Zeppelin e degli Who ma è già intriso di un sound proprio, ancora da affinare ma capace di procurare buone scariche di adrenalina che dimostrano che la band ha le giuste potenzialità.
E’ composto da dieci brani, ciascuno con la propria caratteristica.
L’inizio è affidato alla sempiterna ‘Keep Yourself Alive’, lungamente proposta sui palchi, è un energico Rock ‘N’ Roll tirato e divertente con un bell’assolo di batteria.
I Queen ci tengono a far sapere che il loro repertorio è vasto: la successiva ‘Doing Alright’ è una ballata dolcissima che si trasforma, indurendosi improvvisamente per diventare un puro Hard Rock con un assolo esaltante per poi tornare di nuovo dolce.
‘Great King Rat’ gioca al contrario: è un brano duro e determinato, che richiama al flamenco, ma poi si addolcisce fino a diventare acustico. In questo brano lo spessore artistico è molto alto.
La seguente ‘My Fairy King’ parte senza freni per diventare una melodia dolce e corale che man mano s’indurisce. Qui viene fuori la vena eclettica del quartetto inglese.
‘Liar’ alterna durezza e melodia soffermandosi molto sul titolo (bugiardo) in modo quasi sprezzante. I cambi di tempo sono potenti, il lavoro del basso è durissimo.
‘The Night Comes Down’ è una ballata cupa, psichedelica ma dolce mentre ‘Modern Times Rock ‘n’ Roll’ è il suo opposto: un Rock ‘N’ Roll travolgente e frenetico, cantata da Roger Taylor dotato di una voce da vero rocker.
‘Son and Daughter’ è scura come la notte per illuminarsi alla fine e ‘Jesus’ è un inno determinato che s’indurisce di colpo.
Chiude la breve ‘Seven Seas of Rhye…’, una trascinante strumentale.
L’album d’esordio non ebbe un seguito immediato, ma d’altronde l’anno non era tra i più propizi per i novizi. I Queen cominciarono ad acquisire notorietà l’anno dopo e poi esplosero successivamente per diventare la band immortale che è ancora oggi, anche se purtroppo Freddie Mercury ci ha lasciato dopo una vita breve ma intensa, come è successo a tanti artisti del suo calibro.
‘Queen’ è stato rivalutato ed apprezzato nel tempo, come una bottiglia di buon vino lasciata in cantina.
Non si può non consigliarne l’ascolto, sia a chi dei Queen conosce tutto, compreso il numero di scarpe di Roger Taylor (difficile da sapere visto che stava dietro la batteria) e quante parole ha detto nella sua vita John Deacon, sia a chi conosce solo i principali successi, un album ancora oggi nell’etere e parte essenziale della storia della musica.