Recensione: Quid Pro Quo
Dopo innumerevoli ascolti, qualunque rocker si aggira tra le nuove uscite con la stessa destrezza e prudenza di un lupo nella selva, un bosco costellato da protagonisti, outsiders di valore ed infiniti imitatori. Così, consci e prevenuti dal nostro “retaggio culturale”, snobbiamo ascolti che avrebbero riservato più sorprese di quanto previsto. Questa è un po’ la storia di chi, come il sottoscritto, nel marasma generale, tra nuovi talenti e monicker dal passato illustre, ha evitato complessi che meritavo più attenzione.
Una situazione che calza a pennello con i Maverick, quintetto formato da Dave Balfour e Ryan Sebastian Balfour, scortati da Ric Cardwell (chitarra), Richie Diver (basso) e Mike Ross (alle pelli). I Nostri, originari di Belfast, iniziano a farsi conoscere con l’Ep “Talk’s Cheap” (2013) e debuttano con questo “Quid Pro Quo” lo scorso anno. Parlando di questo disco, non posso nascondere una totale mancanza d’innovazione ma quale gruppo rock si può definire veramente “nuovo” nel panorama attuale? Pochi, se non nessuno e, talvolta, quello che conta sono altre doti, quali energia, ispirazione e, non per ultima, una sana dose di ambizione. E si percepisce distintamente questa volontà di competere, una foga che galvanizza l’opener “Snakeskin Sinner”. Questo è un inizio crepitante, un tuffo nell’hard rock più sfrenato, trascinato in una spirale di adrenalina che ribolle nelle nostre vene al grido del coro, propagandosi come veleno nelle nostre tempie.
E se “Snakeskin Sinner” non è abbastanza eloquente, ci pensa “Paint My Numbers” a fugare ogni dubbio con un prorompente inno alla sleaze generation, dipinta con poche ma energiche pennellate da Dave Balfour e soci.
La produzione non è stellare e gli echi del passato sono vivi e presenti (Winger, White Lion) ma rimane grandissimo lo slancio del combo: le vibrazioni delle chitarre diventano cavalli imbizzarriti in “Got It Bad”, presto domate da un coro che sopisce la ragione e smuove il motore delle emozioni. Immagini di una gioventù bruciata brillano e divampano mentre gli assoli ci illuminano con la loro passione. Una progressione assolutamente stregante.
Se “Quid Pro Quo” è una miscela, le componenti per renderla esplosiva sono tutte presenti nella tracklist: “In Our Blood” tuona come il rombo di un motore e il burn out si innesca quando i Maverick ci ordinano di non ripudiare questo sangue focoso, linfa preziosa per la nostra musica.
L’hard’n’roll è pane quotidiano per i Nostri, un energetico che nutre il riff della title track, carica di dramma quanto basta per darci un brivido. Il coro è essenziale e magnetico, il riffing cresce ed oltrepassa lo sleaze rock, spezzando le catene dei nostri noiosi pregiudizi.
“Electric” propaga altre onde sonore pericolose che vengono amplificate dalla carica sovversiva di sua maestà “Rock’n’Roll Lady”. Una regina veloce, seducente, viziosa, che ci fa girare pazzi attorno al suo trono, eretto su refrain, chitarre e ossa dei mostri del rock, che sembrano animarsi e danzare al suono di questo boogie assatanato.
Lasciato il selciato del glam metal, i Maverick decollano e sprigionano l’incandescente rombo di “Shackeld”, su un cielo solcato da intense melodie. Su questo immenso azzurro sembra di volare, seguendo la scia, le linea di note colorate da infinite sfumature. “Shackeld” ci fa rivivere con i suoi vibrati sentimenti che sembravano dimenticati, impressioni palpitanti di momenti che abbiamo vissuto o mai goduto pienamente nella nostra routine quotidiana. Poco meno che un must di altri tempi…
I potenti tamburi di guerra sbattano “Last Addiction” sulla terra e si forgia un nuovo patto con il diavolo dell’hard rock. Il suggello di questo patto è sempre il caro vecchio refrain, che risucchia il malcapitato in un reattore alimentato da megawatt di melodia.
Certo, i Maverick sono nuovi del mestiere e debbono molto ai padri fondatori del genere: allora, perché nasconderlo e “Side By Side” è qui a darci vecchie certezze. Vecchie certezze ma dolcissime soddisfazioni, come questo refrain radiofonico da trasmettere a tutto volume.
“Took The Night” conferma la regola e sferra l’ultimo poderoso colpo a base di incendiario rock! Che sia di notte o alla luce del giorno, il grido penetra nella nostra mente e la possiede, i sogni si confondono, la realtà sfuma e le chitarre fanno parlare i nostri desideri.
Questo è il miglior finale che si poteva sperare per un album: una conclusione sincera ed entusiasmante, non dissimile da luminosi fuochi d’artificio, i migliori dei quali brillano al termine della festa. Con l’augurio, che voi partecipiate a questo nuovo meeting…
Eric Nicodemo