Recensione: Quietus
Signori, ciò che abbiamo qui è uno dei più grandi capolavori del death-doom. Un album che ha saputo interpretare alla perfezione lo spirito più profondo di questo genere musicale, un concentrato delle più oscure emozioni dell’animo umano, un inno alla più maestosa decadenza. Gli Evoken, da oltre un decennio pilastro insostituibile del doom, nel 2001 diedero alla luce quello che tuttora è ricordato come una delle vette più alte mai raggiunte da questo genere, degno seguito di Embrace The Emptiness e definitiva conferma per gli Evoken come una delle principali potenze dell’intero panorama doom.
Chi già conosce gli Evoken non ha bisogno che vengano spese troppe parole per definire quello che ormai è uno stile consolidato, personale, in grado di identificarli immediatamente e farli emergere senza fatica alcuna dalla massa, ma è giusto che chi ancora non li abbia ascoltati possa farsi un’idea di cosa propongono questi doomsters americani. Gli Evoken hanno saputo costruirsi, nel giro di pochi album, un sound inconfondibile in grado di mischiare la lentezza e l’oppressività tipiche del doom più estremo (tanto da avvicinarli, in alcuni frangenti, al funeral doom) con sporadiche accelerazioni reminiscenti del death metal più pesante e granitico, senza però mai perdere di vista le epiche melodie che contraddistinguono la loro musica; chitarre ribassate dalla potenza inaudita, basso dal suono pieno e compatto, drumming cadenzato ma allo stesso tempo complesso e non privo di interessanti raffinatezze, ai quali fa da complemento un lavoro di tastiere esemplare, che tesse le sue melodie intregrandosi perfettamente fra gli altri strumenti senza diventare preponderante, ma fornendo quel substrato atmosferico in grado di conferire al sound degli Evoken la sua tipica aura maestosa, tombale e crepuscolare. La voce di John Paradiso si staglia come un raggelante e cavernoso boato in questo apocalittico panorama, coinvolgendoci con un growl profondissimo che sembra provenire dall’oltretomba, e allentando sporadicamente la tensione con alcuni versi cantati con una voce pulita altrettanto bassa ed espressiva. Nessuna atmosfera romanticheggiante, nessuna concessione a melodie di facile fruizione per gli Evoken: nella loro musica si respira il pungente odore della morte, fra i loro riff si consuma una silenziosa apocalisse senza possibilità di scampo, nei loro arpeggi si intravedono imperi crollare e macerie accumularsi, dando origine a desolate rovine dove solo pochi sfuggenti fantasmi hanno il coraggio di vagare.
E’ il suono distante di un pianoforte di In Pestilence, Burning a dare inizio alla lenta discesa negli inferi, in una canzone dalla melodia potente e maestosa, ma rassegnata per l’ineluttabile destino di cui si fa foriera; in Withering Indignation invece le atmosfere cambiano leggermente registro, si fanno inquietanti, oppressive, quasi volessero prepararci alla fine incipiente. La terza traccia, Tending The Dire Hatred, spicca per la sua vena incalzante, e fa di alcune azzeccatissime sezioni più veloci il suo punto di forza. Ma in Where Ghosts Fall Silent si torna alla disperazione già assaporata nella prima traccia, sottolineata stavolta da un growl ancora più profondo del solito, che verso metà canzone irrompe in un urlo lancinante memorabile. Quietus, la title-track, si dibatte fra atmosfere austere e grevi e fra aperture melodiche che mettono in risalto dei versi recitati in voce pulita fra i più toccanti del disco. Embrace The Emptiness (che riprende il titolo del precedente album) è un invito ad abbandonarsi al fascino dell’oscurità, fra echi spettrali e melodie di rassegnata bellezza. Con Atrementous Journey, una breve outro strumentale, il viaggio è finito, l’apocalisse è conclusa, e noi non possiamo che ergerci sulla collina ed ammirarne la devastazione, inquietati ma anche innegabilmente catturati dalla sua possenza.
Quietus, come già detto in apertura, è uno dei grandi capolavori del doom, una prova di eccezionale maturità compositiva da parte di un gruppo che ormai rientra di diritto fra gli assoluti maestri di questo genere, una pietra miliare che ne ha marchiato indelebilmente la storia. Chi voglia avvicinarsi al doom troverà in questo album una delle migliori introduzioni possibili; chi già ama questo genere non può far altro che godersi ancora e ancora questa testimonianza in musica di quanto l’oscurità, l’oppressività e la decadenza possano essere affascinanti.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – In Pestilence, Burning (08:39)
2 – Withering Indignation (08:52)
3 – Tending The Dire Hatred (07:07)
4 – Where Ghosts Fall Silent (10:39)
5 – Quietus (10:47)
6 – Embrace The Emptiness (12:52)
7 – Atrementous Journey (Outro) (04:14)