Recensione: Racer Cafè
Quando si ascolta ottima musica, il desiderio è che non finisca tanto presto. La speranza è di poterne apprezzare una quantità copiosa e di valutarne nel particolare ogni sfumatura.
È quindi quasi spontaneo il rammarico nel trovarsi coinvolti nelle trame di uno splendido disco strumentale dedicato agli amanti dello shred, salvo poi scoprire che il sollazzo è destinato a durare ben poco, racchiuso nella limitatezza di un semplice EP, per così dire, “introduttivo”…
Costruito nel corso del 2013, il progetto Racer Cafè è la creatura di una coppia di spettacolari virtuosi della sei corde nostrani: Giacomo Castellano e Gianni Rojatti, binomio di spericolati acrobati dello strumento più amato del rock che da un buon numero di anni si onorano d’essere accreditati prosecutori “nostrani” dell’arte cara a nomi celeberrimi, quali, immancabili, i vari Steve Vai, Paul Gilbert e Joe Satriani.
Arte, tecnica, stile ed esperienza che confluiscono in una quantità di influenze ed ispirazioni ad ampio spettro, per accogliere la sagacia dei trascorsi pop di Castellano (chitarrista dal lungo curriculum “leggero” in ambiti nostrani) e mescolarla con le pennate ardimentose di Rojatti, guitar wizard dalla formazione decisamente più heavy-prog e sperimentale.
Il risultato è un mini cd di sole quattro tracce che nell’arco di poco meno di una ventina di minuti abbaglia per gradevolezza e facilità d’ascolto, mostrandosi caratterizzato da un profilo piuttosto immediato nonostante una forma espressiva che è tutto fuorché semplice o destinata ad un pubblico ampio.
Fusion, prog, sperimentale, heavy, grunge, hard rock: una gamma di sonorità completa e ricca che passa dall’aggressione terremotante dell’opener “Cafè Indiano” – in cui echi di Paul Gilbert e dei Racer X sono a “vista” – per scivolare nelle ambientazioni più classicamente hard rock di “Artifackt”, episodio in cui un retrogusto Purpleiano si sovrappone alle svisate tipiche dell’alieno Steve Vai.
Le iniziali cadenze metalcore di “Sagatava”, preludio ad uno degli incisi più belli dell’EP ed i ritmi più easy listening della conclusiva “The Core” – un chiaro omaggio al Satriani di “Engines Of Creation” e “Is There Love In Space” – definiscono il potenziale di una creatura musicale che, completata dall’opera di una rhythm session inappuntabile (Erik Tulissio alla batteria e Dado Neri al basso), spinge a sperare in un seguito imminente e ben più esteso di questo ottimo aperitivo.
Ok ragazzi, ci avete fatto ingolosire. A quando l’intera portata?
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