Recensione: Raft Of The World
Si può realizzare in data fine 2017 un album che sembra essere stato registrato negli anni ‘70? La risposta ce la danno gli svedesi Night, giunti con questo “Raft Of The World” al terzo album in carriera. Nome semplice per un rock diretto che riprende le atmosfere dei Kiss periodo “Destroyer” e “Love Gun”, e in buona parte anche degli UFO, ovvero riff incisivi, assoli leggeri ma densi di melodia, cori che fanno presa al primo ascolto. Il sound è quello, probabilmente registrato live senza troppe sovra-incisioni proprio per catturare l’effetto vintage fortemente ricercato dal quartetto.
Detto di una copertina che fa il suo dovere in quanto a mistero e intrigo dai toni fantasy, un po’ alla Dio, veniamo alle nove tracce presentate. Nove, guarda caso proprio come si faceva negli album di un tempo. “Fire Across The Sky” riassume in pieno quanto detto sulle intenzioni dei Night: un riff portante che profuma di Ace Frehley, batteria che mantiene semplicemente il ritmo con pochi ghirigori, basso pulsante che si può immaginare avere la forma della lingua di Gene Simmons, un refrain che arriva e resta nelle tempie. E poi c’è il solo del chitarrista Sammy Ouirra detto Highway Filip (ovvio, gli svedesi se la giocano anche con i nomignoli) condensato in pochi tocchi tutta melodia, mentre la voce di Oskar Andersson detto Burning Fire si mantiene su toni alti ed enfatici, forse un po’ sgraziata e ancora da addomesticare (nonostante i baffoni il ragazzo ha 24 anni), ma verace e intensa. La trascinante “Surrender”, con il suo refrain epico e pieno di pathos mantiene il passo e la sensazione di avere a che fare con una band sì derivativa, ma che sa comporre anthem che è un piacere ascoltare. Il ritmo di “Under The Gallows” è puramente Kissiano e ancora una volta colpisce l’efficacia della sei corde che con un paio di accordi fa risaltare tutto il contesto, unito a un altro coro trascinante che se venisse corazzato da un impianto sonoro più metal farebbe la gioia di Bruce Dickinson. Tra l’altro i ragazzi non sembrano insensibili al verbo dei primi Maiden, maggiormente seguito nel disco precedente e che resta in un certo modo strisciante in sottofondo.
Dopo il breve interludio strumentale “Omberg” parte il singolo “Time”, pezzo da novanta di “Raft Of The World” che racchiude tutta la filosofia enfatica dei Night e la celebra con un ritornello di quelli che non ti mollano e te li ritrovi a canticchiare tutto il santo giorno. Ormai è chiaro come siano la voce rustica di Andersson e il plettro di Ouirra a risaltare, e i due incrociano anche le chitarre (altra caratteristica della proposta dei Night) in un assolo a due conclusivo che sfuma ma potrebbe andare avanti all’infinito per quanto è accattivante. Bella anche “Strike Of Lightning” che potrebbe benissimo essere stata trafugata dal repertorio dei Thin Lizzy. Poi c’è la spedita “Winds” con i cori che si sovrappongono nell’ennesimo refrain che funzionerà alla grande in sede live e ancora un assolo gustoso, stavolta più ruvido, sempre basato su una manciata di azzeccati tocchi, quelli che bastano e niente di più.
Troviamo anche una ballad in “Raft Of The World”, l’acustica “Coin In The Fountain”, un numero dall’andatura simil-western con la voce riverberata in una eco da deserto notturno. Chiude il lotto “Where Silence Awaits” mantenendo lo standard qualitativo dimostrato per tutta la durata del disco, e anzi, forse propone il riff più divertente partorito dai Night per l’occasione, con altro bel momento di doppia chitarra nel mezzo. Forse stavolta il ritornello non incide, si articola troppo, ma è un passetto falso che a questo punto si può perdonare.
Ovviamente i Night sono derivativi ai massimi livelli, si inseriscono belli piacioni in un periodo dove il classic rock è tornato di moda e le nuove leve ci si buttano a capofitto, e vanno ascoltati con la voglia di respirare le vibrazioni di quarant’anni fa, quelle atmosfere genuine e calde, quando tutto era ancora agli albori. In questo i Night riescono in pieno con le caratteristiche raccontate finora, l’ABC del rock se vogliamo, che poi bisogna saperlo incidere per bene questo ABC, e non è affatto scontato. I giovani svedesi lo sanno fare, il loro songwriting risulta efficace, fa presa, e viene interpretato con sincera devozione. “Raft Of The World” è un disco rustico, diretto, di quelli che si ascoltano a più riprese fino a consumarlo, proprio come succedeva una volta.
Ah, bei tempi i 70’s…