Recensione: Rage of Bleeding Society
Chi se li ricorda i The Great Deceiver, progetto parallelo del celebre Tompa Lindberg degli At The Gates?
Iniziare una recensione con una domanda a bruciapelo è un modo piuttosto inconsueto per introdurre la disamina di qualsivoglia album, tuttavia l’indizio potrebbe essere in qualche modo utile ed interessante nell’identificare (in parte!) quanto presentato dai nostrani Nightglow con il nuovo album “Rage of Bleeding Society“, terzo disco in una carriera inaugurata già nel remoto 1998 all’insegna di un heavy molto classico che ora si prospetta con risvolti nettamente più moderni, imbevuta dai toni cupi, rabbiosi e taglienti.
Proprio rabbioso e tagliente, seppure mai incontrollato, sono gli aggettivi più opportuni per descrivere una formula musicale che ricalca in qualche misura gli stilemi formalizzati in epoche meno prossime dai fautori di certo thrash “estremo”, condito da una voce abrasiva sulla base di chitarre appesantite da toni ai limiti del metalcore.
Metalcore, nu metal, thrash. Un gran cambiamento rispetto agli esordi.
Delle definizioni, francamente, ce ne facciamo poco o nulla: l’elemento cardine che definisce la terza opera del quartetto tricolore è, in ogni modo, la pesante incazzatura di fondo che si percepisce all’ascolto dei brani e che, con ogni probabilità si pone quale motore principe della loro attuale modalità di comporre.
Una rabbia incanalata, quasi mai dirompente, che si mantiene con costanza lungo una scaletta piuttosto lunga e scalcia nervosa nel sottofondo di canzoni dai titoli talora eloquenti come “Overload“, “Feed My Demon” e “The Last One“.
Sprazzi di Down mescolati a Killswitch Engage, Black Label Society, Avenged Sevenfold, Mushroomhead ed ai già citati The Great Deceiver: la scena alternativa è servita e le atmosfere malate che ne conseguono un corollario praticamente inscindibile e quasi necessario.
I risultati non sono, purtroppo, del medesimo livello raggiunto dalle band “superstar” sopraccitate, sebbene non difettino l’energia, l’intensità e la voglia di emergere.
I tentativi di miscelare suoni “moderni” con chitarre selvagge generano spunti interessanti, tuttavia una certa monotona inerzia si fa largo di quando in quando, sollecitando la sensazione di essere alle prese con un prodotto transitorio, non del tutto focalizzato e performante come voluto.
La voce urla ma non ringhia come vorremmo, mentre appare ancora da affinare la fantasia del songwriting, un po’ derivativo e non proprio personale.
Il groove e la veemenza che i Nightglow snocciolano lungo i tredici brani proposti non è, in ogni caso, materiale da buttare. Tutt’altro.
Pezzi catafratti e spigolosi, immersi in atmosfere che nulla hanno di spensierato e cercano di uniformarsi all’inquietante titolo che descrive una società arrabbiata e sanguinante.
In alcuni frangenti ci si diverte, nonostante tutto. In altri invece, ci si annoia un po’ e si ciondola nell’attesa della canzone successiva. In ragione della metamorfosi radicale messa in atto dalla band con le ultime prove in studio, uno scotto da pagare quasi inevitabile.
Indicazioni precise di un album riuscito ma perfettibile, con intuizioni di rilievo ma pure qualche “buco” narrativo che pone in evidenza, come già sottolineato, il bisogno di accentuare la verve nella scrittura dei brani i quali, qualora aiutati da una produzione più potente, potrebbero davvero rappresentare una svolta ed un concreto “salto in alto” per la band del singer Daniele Abate.
Ci sono ancora margini di miglioramento…