Recensione: Ragnarok
Ahi. Ci sono cascati. Saranno le vertigini dell’altezza, sarà la difficoltà dell’impresa, sarà la paura di sbagliare, ma proprio sul più bello i Týr sono scivolati. Almeno non sono caduti, dirà qualcuno, e in effetti il combo faroese è riesciuto tutto sommato a mentenersi in piedi. Però indubbiamente, dopo lo scatto bruciante di “How Far To Asgard” e l’accelerazione di “Eric The Red”, “Ragnarok” rappresenta una frenata brusca quanto inattesa.
Il sorprendente – ma del tutto meritato – approdo dei nostri su un’etichetta di prestigio come la Napalm Records, che ha srotolato un tappeto rosso sul loro cammino, ha rappresentato senza dubbio un salto di qualità importante. Un assaggio dei mezzi posti a disposizione dalla label era stato offerto dalla ristampa primaverile di “Eric The Red”, a giudizio del sottoscritto il capolavoro della band. Un album intrepido, camaleontico, capace di fondere progressive, folk e heavy metal per forgiare una lega solida ed elastica. Che cosa è rimasto di quei giorni?
L’ottima qualità della produzione e il sound tipico dei Týr: segno se non altro che la band ha cercato di portare avanti un proprio discorso musicale, senza cedere alla tentazione di affidarsi a influenze più autorevoli. Ma se si parla delle canzoni, qui la missione risulta compiuta solo a metà. Dei sedici brani che compongono il concept dell’album, troppi sfuggono tra le dita come sabbia, più monocordi che ripetitivi, incapaci di lasciare un segno palpabile.
L’inizio non è niente male: dopo i cinque minuti (forse troppi) della strumentale “The Beginning”, “The Hammer Of Thor” procede con solenne sobrietà melodica, sviluppandosi secondo pattern che rivelano tutta la maturità della band. Meglio però non azzardare confronti con quella gemma di opener che era “The Edge”: il verdetto rischierebbe di suonare impietoso.
Di qui a breve, però, iniziano i problemi. Ci si aspetta un acuto che non arriva, mentre i capitoli si avvicendano senza intoppi, certamente, ma senza neppure accendere la fiamma del genio che aveva illuminato i precedenti lavori. I tanti intermezzi strumentali provano a rivitalizzare un sound massiccio (e statico) come una roccia, ma non sempre riescono nell’inento. Anzi, con “The Rage Of The Skullgaffer” arrivano persino a perdersi in una selva fraseggi chitarristici di indubbio spessore tecnico, che però risultano del tutto deleteri per l’atmosfera dell’album. I cori, in precedenza una delle armi migliori della band, perdono molto del loro potere evocativo, suonando talvolta più scarni del dovuto. La dinamicità della componente progressive spesso finisce in secondo piano, e non sempre il contributo folk riesce a supplirne l’assenza. Così la pur discreta “The Ride To Hell” risente di una cronica mancanza di drammaticità, mentre “Torsteins Kvæði” suona compatta e cadenzata, come il resto dell’album d’altronde, ma non riesce mai a trascinare veramente, né la promettente “Ragnarok” scatena l’armageddon che sarebbe lecito aspettarsi.
D’altro canto non si può neanche dire che vada tutto male, e fortunatamente non manca qualche brano completamente riuscito. Pollice in alto dunque per “Wings Of Time”, a parere di chi scrive miglior pezzo del disco, che finalmente riesce a infondere un’anima calda e vitale nel sound e nelle linee vocali. Da ricordare anche “Lord Of Lies”, più per la strofa marziale e il riffing caracollante che per l’asciutto ritornello o il lungo assolo. Episodi che aiutano a trarre l’album in salvo dalla palude della noia, ma che non sono certo sufficienti a soddisfare le aspettative di chi conosce il potenziale della band.
Secondo il mito, Týr perde la vita durante il Ragnarok, tra le fauci del lupo Garm, a sua volta ucciso per mano del dio. Ma c’è da sperare che per i Týr questo “Ragnarok” non rappresenti la fine, bensì uno stimolo e un’utile lezione in ottica futura. I ragazzi faroesi non hanno tradito la propria identità, ma neppure sono riusciti a dimostrare la personalità e la costanza per imporsi ad alti livelli. Varrà oro, da questo punto di vista, l’esperienza live che la band sta maturando a fianco dei titani Amon Amarth.
Quanto al presente, pur riconoscendo che il disco in questione si dimostra per carattere e spessore delle composizioni ben al di sopra degli standard della produzione odierna, non si può negare che in considerazione delle premesse la tentazione di parlare di delusione è forte. Saranno dunque i fan del combo nordico i maggiori indiziati per l’acquisto dell’opera, mentre a chi si avvicina per la prima volta ai Týr gioverà probabilmente lasciarsi dirottare sulla recente ristampa dell’ottimo “Eric the Red”.
Tracklist:
1. The Beginning (05:07)
2. The Hammer of Thor (06:39)
3. Envy (01:10)
4. Brother Bane (05:00)
5. The Burning (01:56)
6. The Ride to Hell (06:12)
7. Torsteins Kvæði (04:55)
8. Grímur Á Miðalnesi (00:56)
9. Wings of Time (06:25)
10. The Rage of the Skullgaffer (02:01)
11. The Hunt (05:47)
12. Victory (00:58)
13. Lord of Lies (06:03)
14. Gjallarhorni (00:27)
15. Ragnarok (06:32)
16. The End (00:37