Recensione: Rain Forest
Senza dubbio oggigiorno è l’Europa la fucina più attiva in ambito power, capace di forgiare ogni anno una quantità di dischi decisamente elevata, alla quale purtroppo non sempre corrisponde un’altrettanto notevole qualità. Tuttavia, se solo si sposterà lo sguardo più ad oriente, ci si sorprenderà di trovare un mercato assai meno inflazionato ma non per questo di trascurabile pregio. Vogliamo parlare del mercato giapponese, ed in particolare di uno dei gruppi che contribuiscono a tenerne alto il vessillo, i Concerto Moon.
Fondati nel 1995 dal talentuoso Norifumi Shima, chitarrista cresciuto alla blasonata scuola di Malmsteen, i Concerto Moon esordiscono ufficialmente due anni più tardi, sfoderando un metal-rock di stampo neoclassico, venato da influenze progressive, riconducibile non solo al sound del funambolico guitar-hero svedese ma anche a quello dei gloriosi Rainbow, entrambi vere istituzioni anche nel paese del sol levante. Rain Forest rappresenta la terza fatica della band, nonché il loro lavoro più maturo e completo, grazie ad un’offerta che consta di undici tracce (più tre bonus) suonate con notevole perizia tecnica e grande gusto per la melodia. Gli eleganti passaggi delle chitarre, coinvolgenti e mai dispersivi, sono solo uno dei punti di forza del disco: meritano infatti un elogio anche gli accompagnamenti alle testiere di Toshiyuki Toike, pregevole soprattutto nelle frequenti combinazioni con Shima, nonché la sezione ritmica, dinamica e capace di resistere alla tentazione della doppia cassa. Premesso che le liriche sono perlopiù in lingua madre, salve le occasionali contaminazioni in inglese tanto care al pubblico giapponese, va senza dubbio spesa qualche parola anche per il cantante, Takao Ozaki. Forte di un timbro potente ed avvolgente, marcato da un accento velatamente rauco ed aggressivo che gli conferisce un fascino tutto particolare, Ozaki si mantiene estraneo all’indulgenza negli acuti tipica di un certo power europeo, sfoderando una prestazione carica di energia e personalità, ed assurgendo così a complemento ideale delle armonie orchestrate dagli strumenti.
La sapiente combinazione di tali diversi elementi si manifesta in una schiera decisamente fitta di episodi dall’esito felice, tanto che a provare a scegliere le tracce più riuscite ci si ritrova inevitabilmente nel felice imbarazzo dell’indecisione. In una proposta che si pregia tanto di coerenza quanto di varietà, rivelandosi così all’altezza della prova del tempo, l’assegnazione della palma di miglior brano diventa più che mai soggettiva: avremo dunque chi potrebbe prediligere il frenetico dinamismo dell’opener Time to Die, che compare anche come bonus track in versione estesa; altri saranno conquistati dall’incedere trionfante dell’impetuosa Half Way to the Sun; e qualcuno si esalterà certamente al ritmo di Unstill Night, forte di ritmiche a dir poco trascinanti e di un chorus distillato da un vivacissimo hard rock dal forte sapore ottantiano. Dovendo tuttavia dare una preferenza, nonostante il notevole fascino che queste ed altre song sono capaci di esercitare, la mia scelta cadrebbe sull’atipica title track. Il brano che nessuno si aspetterebbe come custode del titolo dell’album si rivela infatti una strumentale intima e suadente, in cui la parte del leone è giocata dalle chitarre di Shima: classica, elettrica ed ancora classica. Meravigliose armonie cadono come una delicata pioggia su un tappeto di tastiere capaci di dar vita ad una foresta disseminata di vita ed emozioni: grande è la stima per chi sa pizzicare le sei corde fino a ricreare atmosfere tanto evocative.
E’ vero: probabilmente i Concerto Moon non hanno inventato nulla, ma quello che fanno, lo fanno con una classe ed un’abilità che con un eufemismo si potrebbero definire sopraffine. Guai a lasciarsi condizionare da qualsivoglia pregiudizio verso un gruppo che orgogliosamente si affida alla lingua dei padri per lanciare il proprio grido, guai a sottostimare le potenzialità di cinque musicisti dotati non solo di capacità tecniche sopra le righe ma soprattutto, e questo va tenuto bene a mente, di talento. Non c’è altro da aggiungere: se amate il metal melodico e ben suonato, non lasciatevi sfuggire questa piccola perla d’oriente.
Tracklist:
1. Prologue
2. Time to Die
3. Lonely Last Journey
4. Fight to the Death
5. Half way to the Sun
6. Rain Forest
7. Unstill Night
8. Live on the Memory
9. Victim of Desire
10. Picture of an Old Man
11. Break it Down
12. Time to Die (ext. version) (bonus track)
13. King of the Judas (bonus track)
14. Waltz for Masquerade (bonus track)