Recensione: Raised On Radio
Gli anni ottanta sono riconosciuti dalla quasi totalità degli appassionati, forse alla pari con i seventies, come la decade che ha visto la nascita del maggior numero di generi musicali veri e propri, dai più orecchiabili e catchy, ai più estremi e violenti.
In particolare, la parte iniziale del nostro decennio preferito, fino ad oltre la sua metà, può vantare un numero impressionante di gruppi che dedicano anima e cuore all’AOR, un genere che riesce passo dopo passo a guadagnare sempre più estimatori, grazie a gruppi come Foreigner, Survivor, Toto e, oserei dire soprattutto, Journey.
Ed è proprio nell’arco di questo periodo (1986) che vede la luce ‘Raised On Radio‘, la nona fatica del quintetto americano, e, forse, la realizzazione più difficile, perché si trova a dover confermare il successo ottenuto grazie a degli autentici manifesti dell’AOR come ‘Escape ‘ (1981) e ‘Frontiers‘ (1983).
La formazione viene rivoluzionata quasi inaspettatamente, infatti, tranne gli “intoccabili” Steve Perry (voce), Neal Schon (chitarra) e Jonathan Cain (tastiere), sia il bassista Ross Valory, che il batterista Steve Smith (che in ogni caso, prima della dipartita, suonò su alcuni pezzi dell’album), vengono tagliati fuori per “differenze musicali e professionali” (o perlomeno questa è la scusa ufficiale), e sostituiti, rispettivamente, da Randy Jackson e Larrie Londin, abili comunque nel non far rimpiangere i loro predecessori.
Il parziale sconvolgimento della line-up, e la pesante eredità rappresentata dai precedenti capolavori, potrebbero essere due colpi letali per qualsiasi band, essendo due elementi di possibile instabilità che possono persino, nei casi più estremi, portare alla crisi di idee e l’inizio di quel calo di popolarità che tanto spaventa e che è sempre minacciosamente dietro l’angolo.
Questo melodrammatico e drastico finale è facile che possa appartenere ad una qualsivoglia band, ma non ai Journey, che una band “normale” non lo sono mai stata.
Non a caso, il quintetto di San Francisco riesce a forgiare un altro album sensazionale, un’altra prova che dimostra (se ce ne fosse ancora il bisogno) la maturità artistica e compositiva raggiunta dai nostri, in grado di elevarsi e di distinguersi, come pochi sanno fare, dal resto delle formazioni che compongono l’intero panorama del rock melodico, giungendo a plasmare un proprio sound, facilmente riconoscibile, unico ed inimitabile.
Non c’è scampo per chi si appresta ad ascoltare questo lavoro, perché si deve preparare ad una serie interminabile di hits, in grado di far impallidire chiunque solamente con un loro semplice accenno: ‘Girl Can’t Help It’, ‘Positive Touch’, ‘Suzanne’, ‘Be Good To Yourself’ e la title-track, possiedono tutte un’energia ed una carica incredibile, una melodia meravigliosa ed affascinante, in grado di far sognare ad occhi aperti l’ascoltatore, che non può fare a meno di concedersi un secondo, terzo, quarto ascolto. Le tastiere di Jonathan Cain lasciano letteralmente senza parole per la magia che riescono ad imprimere alle canzoni, creando quell’atmosfera tipica dei sogni più squisitamente romantici, dai quali non ci si vorrebbe mai svegliare, e si dimostrano come l’elemento fondamentale e imprescindibile del Journey-sound.
Steve Perry (che assume anche il ruolo di produttore) si mantiene ai livelli altissimi di ‘Escape’ e ‘Frontiers’, la sua voce danza fra le note fantasiose della tastiera di Cain e della sei corde di Schon, ancora una volta interpretando alla perfezione ogni singola strofa, immedesimandosi completamente nel personaggio, come solo il più grande attore cinematografico in un film da oscar può fare. Ovviamente il sig. Neal Schon non può mancare fra i protagonisti: la sua chitarra offre dei riffs ad altissimo livello, degli assoli di gusto sopraffino, unendo grande capacità tecnica alla passione per la melodia di gran classe, senza sdegnare, all’occorrenza, l’energia e l’incisività tipica del rock.
Il risultato di questa perfetta simbiosi musicale è esaltato, anche questa volta, dalle meravigliose ed ammiccanti ballads: ‘Once You Love Somebody’, ‘Happy To Give’, ‘I’ll Be Alright Without You’, ‘The Eyes Of A Woman’, ‘It Could Have Been You’,‘Why Can’t This Night Go On Forever’, rappresentano il lato più sentimentale, introspettivo e romantico di Schon e compagni, e riescono a colpire quello più nascosto dell’ascoltatore, il quale non può che rimanere scioccato e sorpreso e, perché no, anche emozionato e commosso, dalle toccanti e passionali melodie, davvero uniche e senza eguali per il sentimento profondo che riescono ad esprimere.
Questa che avete di fronte è l’ultima perla che ci viene generosamente offerta prima di un lungo silenzio che durerà dieci interminabili anni. Un altro splendido capolavoro, un altro successo (oltre 2 milioni di copie vendute), un altro magnifico esempio di rock melodico che ogni band di questo filone dovrebbe seguire, un altro pezzo da collezione.
In poche parole: un altro disco dei Journey.
Fantastico !
Luca “El Pata” Corsi
Tracklist:
01. Girl Can’t Help It
02. Positive Touch
03. Suzanne
04. Be Good To Yourself
05. Once You Love Somebody
06. Happy To Give
07. Raised On Radio
08. I’ll Be Alright Without You
09. It Could Have Been You
10. The Eyes Of A Woman
11. Why Can’t This Night Go On Forever
Line Up:
Steve Perry – Voce
Neal Schon – Chitarra / Back. Voc.
Jonathan Cain – Tastiere / Back. Voc.
Randy Jackson – Basso
Larrie Londin – Batteria