Recensione: Raised on Radio

Di Vito Ruta - 14 Aprile 2022 - 0:01
Raised on Radio
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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69

Mi sono imbattuto esattamente un anno fa, recensendo “Afterlife” dei Sunstorm, nel cantante Ronnie Romero, chiamato a sostituire l’estromesso Joe Lynn Turner. Indicavo in quella sede come il nuovo arrivato avesse retto egregiamente il confronto con il predecessore.

Il singer cileno, torna, ancora per Frontiers, protagonista di una nuova uscita intitolata “Raised on Radio”.
La casa discografica partenopea non perde occasione per continuare a promuovere i Sunstorm (dei quali ha fortemente voluto la sopravvivenza), ponendo la copertina di “Afterlife” in quella del lavoro in parola, ai piedi di una conturbante signorina che, in un gioco di rimandi, regge una copia di “Raised on Radio” su cui la medesima pin-up è ritratta.

L’album è interamente composto da cover di brani che hanno avuto per Romero, a suo stesso dire, un significato speciale e una forte influenza nella di lui formazione musicale.

Ho già espresso, in occasione dell’uscita di “Origins Vol.2” di Ace Frehley, altro album composto interamente da cover, il mio parere personale su iniziative di questo genere che rispondono più a logiche di mercato che a bisogni artistici e lasciano all’ascoltatore non molto di più dell’occasione di riscoprire vecchie gemme.
Opinione che ribadisco per questa fatica, nonostante Romero sia affiancato da valenti musicisti tra cui Srdjan Brankovic (The Big Deal, Alogia) alla chitarra, Javi Garcia al basso, Andy C (ex-Lords of Black) alla batteria e Alessandro Del Vecchio, che ha curato anche produzione, missaggio e masterizzazione, alle tastiere.

Il set di brani spazia tra Hard Rock, AOR e Pop Rock, proponendo, per incominciare, i Grand Funk Railroad di “Sin’s A Good Man’s Brother” (depurata del breve intro acustico e grintosa quanto l’originale) e i Survivor della bellissima “Backstreet Love Affair”.

Buona la versione di “No Smoke Without a Fire” che ben si presta alle indiscusse capacità del cantante, ma non si discosta troppo dall’originale dei Bad Company.

Segue “I Was Born To Love You”, nella versione rock postuma di “Made in Heaven” dei Queen, brano pubblicato precedentemente, con diverso arrangiamento (in chiave disco), in “Mr.Bad Guy”, primo album solista di Freddy Mercury.
Romero si avvicina così tanto al timbro di quest’ultimo da dare l’impressione di prodursi in una imitazione.

Trovano posto nella scaletta i Kansas di “Play The Game Tonight”, gli Elf con il boogie ipnotico di “Carolina County Ball”, che trova un Romero ancora una volta perfettamente allineato con le tonalità e lo stile dell’interprete originale, i Foreigner di “Girl On The Moon” e “Gypsy” degli Uriah Heep.

Sino a questo punto l’album, che ha il maggior punto di forza nella scelta dei brani, uno più bello dell’altro, risulta, anche in assenza dei brividi che ci si aspettava, gradevole.

Le cose si complicano, invece, con i successivi due brani, che si traducono in   clamorosi autogol.
Nell’arrangiamento della stupenda “Voices”, perla targata anni ’80 del geniale e prolifico Russ Ballard, la costante presenza del riff portante a cementare ogni spazio disponibile, anziché aumentare la tensione, sapientemente misurata nell’originale, finisce per levare respiro al pezzo e appiattirlo inevitabilmente.

La medesima osservazione viene avanzata per l’enigmatica ed inutilmente appesantita “All Along the Watchtower”, canzone scritta da Bob Dylan ma resa immortale dalla incendiaria e inarrivabile versione psichedelica di Jimi Hendrix, dopo la quale, “che te lo dico a fare”, non ce n’è per nessuno.
Chiude il lavoro “Since I’ve Been Loving You” dei Led Zeppelin con un’altra prova delle ottime capacità imitative di Ronnie.

Raised on Radio” è un album che offre una superflua dimostrazione dell’estrema versatilità e della più che buona estensione vocale del nostro, ma nulla aggiunge a quanto dallo stesso già dimostrato, e risulta, pertanto, assolutamente non imprescindibile.

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