Recensione: Rapid Foray
Dei Running Wild, molti di noi, compreso lo scriba, possiedono, nel proprio immaginario siderurgico, un’immagine mutuata dai grandi capolavori del passato. L’idea di una band dalla potenza pari all’onda d’urto di un carrarmato lanciato in piena velocità, incurante di qualsivoglia ostacolo gli si pari contro lungo la sua corsa infinita.
Cannonate sotto forma di musica come quelle sciorinate da sublimi disconi quali Port Royal e Black Hand Inn permangono nelle stimmate di ogni metallaro devoto a un certo modo di intendere e suonare il rock duro. Va rimarcato che sin dal primo full length, Gates of Purgatory del 1984, la qualità media delle uscite griffate Running Wild si è mantenuta su livelli decisamente alti, quantomeno per qualche lustro. Erano i tempi nei quali “dietro” al combo capitanato da Rolf Kasparek, chitarrista e cantante meglio conosciuto come Rock’N’Rolf, vi era una “vera” band e i vari dischi godevano di una produzione “vera”.
Poi le cose sono cambiate, il galeone battente bandiera bianconera dai toni corsari ha iniziato a barcollare, spinto di volta in volta da correnti maligne che ne hanno deviato il focus oltreché la rotta. L’Acciaio duro, puro e veloce di sempre, trademark del combo teutonico, è stato pian piano accantonato per lasciar spazio partiture più affini al rock’n’roll, affidato alle cure di musicisti turnisti, nella migliore delle ipotesi e di elettronica/software applicato alla musica nelle peggiori. Il risultato è racchiuso all’interno di album sotto tono, non sempre e per forza brutti, sia chiaro, talvolta con buoni spunti, ma decisamente lontani dallo spirito – e dal suono – 100% Running Wild delle origini.
La speranza dei die hard defender tutti d’un pezzo si dice sia dura a morire e i vari comunicati ufficiali targati 2016 riguardo gli hamburger fornivano segnali tutt’altro che da disprezzare riguardo il loro ritorno discografico sotto l’egida della consolidata Spv/Steamhammer. Immagini piratesche, edizioni speciali con bussola ricompresa, colori e tonalità rifacentisi a un passato ingombrante giustamente hanno alimentato ben più di una semplice occhiata alle varie news.
Il risultato di cotanto marketing preventivo – pratica ormai abusata un po’ da tutti, ahimè – sta racchiuso in una confezione digipak (oggetto della recensione) per quasi sessanta minuti di musica suddivisi in undici pezzi inediti. Ad accompagnarli un cartonato a tre ante fornito di booklet di venti pagine, tutti i testi, note tecniche, disegni e foto “galeoniche” ma manco uno scatto della band… Band? Oltre a questo un poster 25 x 45 cm double face con il disegno di un veliero da una parte e di una clessidra dall’altra e, per entrambi, la mascotte “Adrian” in sottofondo.
Musicalmente recensendo, a partire da Black Skies, Red Flag è un susseguirsi di canzoni degne del pesante moniker che le accompagnano. Lo spirito piratesco è stato rispolverato dal vecchio nocchiero, mettendo da parte i sussulti rolleggianti del recente passato. Fra qualche filler trovano posto episodi di spicco quali Warmongers, By the Blood in your Heart , l’ottima strumentale The Depht of the Sea (Nautilus), Black Bart, Hellecrified, Blood Moon Rising e, a sprazzi, alcuni spezzoni della lunghissima Last of the Mohicans, posta sul finale.
Ma c’è un ma, grande come una casa… ops, un galeone! A Rapid Foray manca la carica animalesca che ha fatto dei Running Wild una delle bandiere immortali delle nostra musica preferita. In altre parole la grinta che si autoalimentava poggiando sulla cattiveria di Rock’N’Rolf, rinfocolata dall’incessante pestare della batteria di un drummer vero, l’arrembaggio accompagnato da cori esagerati, stracarichi, possenti, devastanti, epici, al servizio di quell’heavy fucking metal totalizzante che pose la band nell’Olimpo del genere.
Al di là dell’evidente mancanza di convinzione, a compromettere un po’ tutto ci “pensa” poi una produzione sintetica, algida, liofilizzata, in netta contrapposizione con quella “sangue e arena” dei roboanti capolavori del passato remoto.
Un’occasione sfruttata a metà, quindi, questo Rapid Foray, foriero di brani potenzialmente killer, purtroppo non sviluppati a dovere secondo l’antica ricetta fondata sulla tradizione marinaresca Running Wild. Sarà per la prossima, quindi, ora che la retta via è stata ritrovata, finalmente…
Stefano “Steven Rich” Ricetti