Recensione: Rapture
Nuovo album per Anette Olzon, nota ai più per essere stata la cantante dei Nightwish dal 2005 al 2012. Oltre alla militanza nella band finlandese, la Olzon però, può vantare numerosi altri sodalizi e collaborazioni. Rapture, è il terzo album solista della cantante svedese che segue il debutto Shine del 2014 ed il successivo Strong del 2021.
Per questo nuovo capitolo, Anette si affida alla stessa squadra di musicisti del precedente Strong.
Magnus Karlsson a chitarra, basso e tastiere, Anders Köllerfors alla batteria, ed infine Johan Husgafvel, che dopo aver lasciato il basso a Karlsson, si dedica solamente alle parti in growl.
Edito dalla Frontiers Music, questo nuovo capitolo è stato registrato presso i Stuntguitar Studios in Svezia. Per il mixaggio ci si è avvalsi di Jacob Hansen, vecchia conoscenza di Anette avendoci lavorato assieme nell’ambito dei The Dark Element. Il genere trattato è sostanzialmente un power sinfonico, che si destreggia fra elementi gothic e puntate di melodic death.
Il primo brano Heed The Call mette già in evidenza buona parte dei vari elementi sopra elencati. Il tutto sulle note di un sympho power, dove Anette, coadiuvata dai growl di Husgafvel, si rende già protagonista. Un’intro di pianoforte dà il via a Rapture, un’altra traccia sulla lunghezza d’onda della precedente, tutto sommato abbastanza buona. Day Of Wrath continua a mescolare sympho, e goth-power con un piglio moderno per provare a dare quel tocco di mainstream al disco.
Requiem, come da titolo, si presenta più cupa e tendente ad un certo gothic sinfonico, con la Olzon che gioca su melodie orecchiabili per rendere il pezzo più accattivante.
Ancore melodie cupe su Greedy World, le medesime che poi ritroviamo sull’orientaleggiante Arise.
Magnus Karlsson, ed il drummer Köllerfors, imbastiscono una buona struttura portante per i brani, permettendo ad Anette ed ai growl di rinforzo di Husgafvel, di tessere le liriche delle canzoni. Anche la mano esperta di Jacob Hansen al mixer valorizza la prova dei singoli musicisti con suoni impeccabili. Ciò nonostante si ha l’impressione che, a livello compositivo, in certi punti si sarebbe potuto offrire qualcosa di più.
Si prosegue con Take A Stand che presenta un piglio più modern metal, mentre Cast Evil Out prova la carta sempre valida della canzone con melodie catchy.
Arriva il momento soft con Hear My Song, una ballad sognante dove spicca un assolo di chitarra di Karlsson.
Head Up High richiama i trascorsi di Anette alla corte dei Nightwish con qualche strizzata d’occhio agli Evanescence.
We Search For Peace alla fine fa un’accumulo delle cose fin qui ascoltate, una specie di calderone dei vari generi musicali come lo è del resto, tutto questo Rapture. Oppure, se non calderone, diciamo allora un più elegante piatto misto, con cui poter assaggiare vari sapori in un’unica portata. Ed ecco quindi, che su Rapture ci vengono ben impiattati symphonic power, un po’ di gothic, melodic metal moderno e qualche richiamo a nomi noti come Nightwish ed Epica. Infine l’onnipresente growl di Johan Husgafvel che da quel pizzico di cattiveria per abbracciare anche i favori degli amanti di un certo metal estremo (o presunto tale). Tutti ingredienti pregiati, ai quali manca però la giusta dose di sale che dia loro sapore.
Infatti, se con le prime battute Rapture sembrerebbe far promettere qualcosa di interessante, poi, con lo scorrere dei vari pezzi, tende ad appiattirsi. Il disco viaggio sempre sulle stesse coordinate e si passa tutto il tempo ad aspettare il momento del botto che però non arriva mai. I brani presi singolarmente si lasciano ascoltare, ma nel contesto dell’intero lavoro, tendono ad annullarsi a vicenda.
Anette in sostanza ripropone sempre la stessa formula, come se avesse paura o poca voglia di osare qualche cosa in più: nonostante la sua indiscussa abilità canora, il disco non riesce mai a prendere veramente il volo.
Possiamo definire Rapture, un lavoro ben confezionato in una buona produzione ed una prova impeccabile dei vari musicisti. Peccato che una volta aperta la confezione ci si trova con meno sostanza di quella che ci si aspettava.
Un album quindi, che può comunque andare incontro ai favori degli amanti incalliti del symphonic power. Per tutti gli altri meglio rivolgere lo sguardo verso qualcosa d’altro.