Recensione: Ravenous [EP]
Il duo teutonico “Slaughterday“, proveniente da Leer, Bassa Sassonia, si è formato nel 2010 per volontà di Jens Finger e Bernd Reiners, il primo alle ‘corde’, il secondo alla voce e alla batteria. Dopo l’ottimo debut-album “Nightmare Vortex” dello scorso anno ecco che torna alla ribalta con l’EP “Ravenous”, registrato, missato e masterizzato da Jörg Uken presso gli Soundlodge Studio, e artwork a cura dell’artista svedese Jan Pysander Whitney.
Lo stile della band abbraccia tutto ciò che ha fatto la storia del death metal svedese e floridiano, con delle incursioni personali all’interno dei brani, che fanno della loro musica un prodotto godibile nei minimi particolari. Le ottime accelerazioni, in contrapposizione con i medium e slow-tempo, non sono scontate e banali come buona parte delle band che cercano di riportare in auge la vecchia scuola, aggiungendo poco o niente che possa dar modo al genere di restare in vita in maniera dignitosa.
I due riescono a creare dei brani che, seppur nulla hanno di nuovo nelle strutture, centrano dritto l’obiettivo, in particolare con dei riff non particolarmente nuovi ma ben disposti, e soprattutto con l’ottima capacità del vocalist Reiners, che sfoggia una poderosa e gutturale voce che non può passare inosservata.
Ma quel che colpisce maggiormente è il loro sound poderoso e soprattutto un ottimo ensemble; il fatto di scrivere e registrare il materiale in sole due persone è più semplice per unire gli intenti, creando un’amalgama interessante e allo stesso tempo distruttiva. I brani sono delle piccole gemme, ognuna farcita da elementi che li distingue in maniera netta dagli altri, composti con cura e ‘savoir faire’.
I cambi di tempo della title-track in apertura sono puro death metal in versione 2014: nulla che non abbia un senso all’interno, le sezioni si susseguono in maniera piacevole e fluida, con le improvvise decelerazioni a lasciar respirare, ma solo per brevi momenti.
La violenza di “Crawling In Secrecy”, con tanto di ritornello e bridge non impressiona di certo per il suo scheletro quanto per la ricca varietà di materiale usato per la sua costruzione. Cavalcate poderose, soli melodici e aggressione continua sono caratteristiche del duo, così come le incursioni dei soli di chitarra melodici. Il suo finale, così come la seguente “Abyss Of A Nameless Fear”, ne sono la prova reale. Anche se prima di giungere a godimento è necessario passare per poderosi riff e ritmiche infernali, che ‘accompagnano’ l’immensa ugola di Reiners.
La chiusura spetta a una cover dei floridiani Acheron, “Ave Satanas”, tratta dal loro primo album “Rites Of the Black Mass”, datato 1992. Le atmosfere cupe e gravi sono un inatteso ennesimo colpo di coda, che chiude il cerchio di questi 19 minuti di intenso death metal, lasciandoci più che con una speranza con una certezza, che con band come gli Slaughterday il genere può continuare tranquillamente a resistere alle usure del tempo.
Vittorio Sabelli
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