Recensione: Ravnsvart
La storia dei Mortem inizia inizia nel lontano 1989 con una cassetta di nome Slow Death, con Euronymous e Dead rispettivamente produttore e disegnatore della copertina, che dovrebbe essere materia conosciuta per tutti i cultori della Norvegia nera che conta. All’epoca erano della partita gli ancora minorenni Marius Vold e Steinar Johnsen, e il nome Mortem venne poi subito accantonato. Possiamo quindi considerare Ravnsvart come il debutto ufficiale della band che, oltre a Marius e Steinar, che oggi conosciamo molto bene in quanto mastermind degli Arcturus, completa la line up con Tor Stavenes (bassista dei 1349) e un certo Hellhammer alle pelli che non ha bisogno di presentazioni.
Ravnsvart riprende il discorso interrotto trent’anni fa rivelandosi un’opera di tutt’altro spessore rispetto ai soliti supergruppi che partoriscono topolini, tirando fuori dal cilindro otto brani di un black metal ottimo e che farà felici tutti gli amanti delle sonorità norvegesi. Il disco dei Mortem, infatti, sembra sia stato ibernato nei grandiosi anni ’90 e semplicemente tirato fuori dal frigo; ci sono tutti, ma proprio tutti gli elementi che hanno reso grandi band come Emperor, Arcturus, Limbonic Art, Dimmu Borgir, Thorns e via dicendo, e il risultato è oggettivamente notevole. Già la produzione è un biglietto da visita che non lascia adito a discussioni: è un suono freddo, con la batteria in primo piano, le chitarre appena dietro e la tastiera leggermente sussurrata. Completa l’opera lo scream luciferino di Marius e il gioco è fatto.
Gli otto brani del lotto sono tutti composizioni sontuose ed elaborate; ci vuole tempo affinchè Ravnsvart entri in circolo ed ogni passaggio è comunque ben speso. E’ un disco decadente e suonato in maniera impeccabile; il riffing è orientato sui tremolo per la maggiore e si mette spesso al servizio delle trame sinistre e malvage della tastiera. Il talento Steinar non ha di certo bisogno di dimostrarlo qui, eppure la sua prestazione alla sei corde è sontuosa e ad altissimi livelli. La sezione ritmica è una bomba atomica, violentissima e in grado di mandare al manicomio qualsiasi metronomo nell’arco dei quarantacinque minuti di durata del disco. Hellhammer è sempre una garanzia e uno dei migliori batteristi estremi in circolazione; Ravnsvart prende a piene mani e fa bene.
Se vi piace il genere difficilmente troverete cali nel disco, che si mantiene tutto su ottimi livelli; anzi, riscontrerete presto anche picchi di eccellenza assoluta come ad esempio Port Darkness, che è indubbiamente il momento migliore del lotto e offre una parte centrale disumana. I Mortem non sbagliano neanche quando rallentano, come in Morkets Monolitter, e rendono oro praticamente tutto ciò che suonano; esperienza e classe qui vanno per la maggiore e dimostrano ancora una volta che questa gente il black metal lo sa fare eccome.
Il supergruppo quindi funziona, vince e convince; se consideriamo l’ultima tornata discografica delle band fondamentali norvegesi, Ravnsvart vince il premio di miglior disco assieme a un certo Northern Chaos Gods che ancora gira fiero nei nostri lettori. Non è cosa da tutti e non è cosa da poco. La Peaceville ha sicuramente fatto un colpaccio dando una nuova vita ai Mortem e un gran bel regalo a noi appassionati; speriamo che questa band abbia una lunga vita, magari contornata da qualche tour, i brani di Ravnsvart dal vivo farebbero faville. Per adesso promuoviamo a piene mani e ci congediamo in attesa dei Mayhem.