Recensione: Raw Evil: Live at the Dynamo
Le circostanze della vita più ovvie e prevedibili, quelle a cui siamo talmente abituati da non farci nemmeno caso, ogni tanto ci appaiono meno scontate. Penso ai concerti di questo strano 2020, annullati e/o rinviati a date da destinarsi, e a quanto ci manchino ora che siamo tutti obbligati a non assembrarci. Questa triste riflessione è scaturita quando ho ascoltato l’inizio della rabbiosa ‘Chalice of Blood’, terzo brano dell’EP live oggetto di questa recensione: il sempre ottimo cantante dei Forbidden Russ Anderson, quasi scadendo nel growl, invita caldamente il pubblico a dare vita al mosh pit. Che meraviglia. Lunga vita alle registrazioni live, al momento le uniche manifestazioni musicali in grado di evocare cose d’altri tempi come i mosh pit. I metallari deprivati del Sacro Rito della Musica Dal Vivo vissuto spalla contro spalla, pigiati come sardine a condividere sudore e ossigeno, non possono che trarre giovamento dall’ascolto di un buon album live. Invece, il lettore che considera questi dischi buoni solo per garantire introiti commerciali extra a case discografiche e musicisti, in attesa dell’uscita di lavori in studio più curati e redditizi, ha ora un motivo in più per cambiare opinione, trovando nel frattempo un incoraggiamento per continuare a leggere questa recensione. Dal canto suo il metalhead più avvezzo all’ascolto di dischi live si sarà già accorto di poter interpretare il titolo ‘Raw Evil: Live at the Dynamo’ su due livelli. Si cita esplicitamente il titolo del primo album dei Foribidden, il leggendario ‘Forbidden Evil’ del 1988, e nel contempo vengono inseriti due riferimenti importanti: i gloriosi ‘Live…in the Raw’ dei W.A.S.P. e ‘Live Evil’ dei Black Sabbath, entrambi riconosciuti come pietre miliari nella storia dei migliori dischi Metal live. Aggiungiamo a questi riferimenti la presenza di una cover dei Judas Priest in pole position, ‘Victim of Changes’, ed appare chiaro come i Forbidden e la storica label newyorchese Combat Records desiderassero rendere omaggio a una buona fetta del Metal degli anni precedenti a ‘Raw Evil’, probabilmente con la speranza di guadagnare consensi anche al di là della scena Thrash. Non trovo altri buoni motivi per inserire in un breve EP di soli 4 brani una cover, seppur estratta da un album storico per l’evoluzione del Metal sound come ‘Sad Wings Of Destiny’. La canzone si fa ascoltare con piacere, è ben eseguita e rappresenta una versione potenziata del classico priestiano. Le parole di Anderson a fine canzone fanno capire che originariamente i Forbidden dovevano aver piazzato questa cover verso la fine del concerto, il che spiega perché qua e là la voce del cantante risulti un po’ provata, oltretutto considerando l’intrinseca difficoltà di raggiungere gli acuti di Rob Halford. La scelta di far partire le danze con uno dei probabili ultimi brani del concerto è discutibile: sentire il pubblico invocare il BIS (We want more! We want more!) al termine del primo brano di un disco genera un certo imbarazzo. La scelta delle altre canzoni è comunque azzeccata e non poteva essere altrimenti: i Forbidden all’epoca avevano all’attivo soltanto un full-length, il già citato e ottimo ‘Forbidden Evil’, epico prodotto della Bay Area di San Francisco dei tempi d’oro. Il disco è ancora oggi godibilissimo e meritevole di una riscoperta, stilisticamente radicato in profondità nel periodo storico in cui è stato pubblicato. L’ispirata tracklist di ‘Forbidden Evil’ è difficile da smembrare se si ha l’obiettivo di estrarre 3 brani tanto rappresentativi da venire introdotti in un disco live; la scelta cade su di un trittico presente nella prima metà dell’album in studio. In seconda posizione dopo ‘Victim of Changes’ fa bella mostra di sé ‘Forbidden Evil’, quarto brano e title track dell’album, come non manca di sottolineare Russ Anderson presentando il pezzo al pubblico. Segue la furiosa ‘Chalice of Blood’, posta a suo tempo in apertura del disco di debutto, e chiude l’EP ‘Through Eyes of Glass’, terzo brano dell’album. Sia ‘Forbidden Evil’ che ‘Through Eyes of Glass’ mostrano una struttura più complessa rispetto alla spaccaossa ‘Chalice of Blood’, riuscendo quasi ad anticipare le affascinanti geometrie sonore che i Forbidden intesseranno nel successivo studio album, ‘Twisted Into Form’ del 1990. Ascoltiamo musicisti carismatici e ben affiatati in ‘Raw Evil: Live at the Dynamo’, capaci di unire alla buona competenza tecnica un’indiscussa capacità di creare uno spettacolo trascinante. Nessuno può stupirsi di come questo combo abbia evoluto il proprio stile in qualcosa di molto personale e degno di nota come ‘Twisted Into Form’.
Giunti al termine di questo breve EP si rimane soddisfatti e allo stesso tempo amareggiati. La soddisfazione deriva dalla consapevolezza di aver assistito alla testimonianza di tutto ciò che di positivo i Forbidden potevano offrire nell’impegnativa sede live: i musicisti, abili ed energici, si fanno tranquillamente perdonare qualche scivolone, percepibile nonostante il granitico muro di suono su cui andiamo a scontrarci durante l’ascolto. La scelta dei brani, sanguigni e robusti, fa passare in secondo piano le sbavature della produzione dichiaratamente grezza (in fin dei conti un disco Thrash Metal registrato dal vivo deve suonare raw). L’amarezza è generata in primis dalla brevità del disco: una volta terminato il quarto brano ci si trova a invocare qualcosa di più, proprio come fanno i fortunati presenti allo spettacolo dopo la cover dei Priest. Altra fonte di amarezza è riconoscere che i Forbidden avrebbero meritato ben di più nella loro carriera: dispiace, come al solito, vedere una band meritevole come questa rimanere in disparte, sottovalutata ed eclissata commercialmente dalla risonanza di altri gruppi della Bay Area che in quegli anni già vendevano centinaia di migliaia di dischi in tutto il mondo. Il miglior modo per rendere loro giustizia è tornare indietro di qualche brano per ricominciare l’ascolto: un disco breve richiede un piccolo investimento di tempo e può tranquillamente ripartire da capo un paio di volte. Buon ascolto…e che il mosh pit cominci!