Recensione: Reach for the Scars
Tutte le strade portano ai Black Sabbath… Questa la dichiarazione che campeggia sul materiale promozionale di “Reach for the Scars” dei Patriarchs In Black e, in effetti, in questo debutto l’influenza del quartetto di Birmigham si fa sentire decisamente, ma accanto a questa si avvertono distintamente anche il Southern Rock dei Lynard Skynard, il ‘70 Rock dei Led Zeppelin e il Doom dei Trouble. Si tratta dunque di un esercizio di copia e incolla sonoro finalizzato a confezionare un disco della durata di poco più di mezz’ora? Tutt’altro! Ma prima di entrare nella disamina dell’album mettiamo insieme un po’ di elementi che consentano al lettore di meglio contestualizzarlo e comprenderlo.
I Patriarchs In Black sono la nuova creatura di Dan Lorenzo, veterano della scena del New Jersey che vanta un curriculum di tutto rispetto costruito grazie a una consolidata carriera solista e alla militanza in formazioni quali Hades e Vessel Of Light (con Nathan Opposition degli Ancient VVisdom). Quando il chitarrista si stava guardando intorno per reclutare i compagni per questa avventura, Bobby Blitz degli Overkill gli consigliò di coinvolgere il batterista John Kelly che, forte di un passato in Type O’ Negative e Black Label Society e attualmente dietro ai tamburi in Danzig, Quiet Riot e Kill Devil Hill, si sarebbe adattato perfettamente ai suoi riff.
Per realizzare “Reach for the Scars” il duo si è avvalso di un cospicuo gruppo di ospiti. Ad eccezione di un paio di tracce in cui è lo stesso Dan Lorenzo a occuparsene, al basso si alternano Erik Morgan (ex A Pale Horse Named Death), Jimmy Schulman (compagno di Dan Lorenzo in Vessel Of Light, Hades e Cassius King), Scott LePage (Ministry Of Hate) e Dave Neabore dei Dog Eat Dog, tra i pionieri più puri del Rap Metal/Punk di metà anni Novanta, genere che sarebbe poi stato purtroppo rovinato da molti nel riuscito tentativo di trasformarlo in un prodotto plasticoso adatto per MTV. Sono invece sei i vocalist ad avvicendarsi, con qualcuno presente a più riprese. Interessante il fatto che le liriche dei diversi brani siano state scritte a quattro mani da Dan Lorenzo e l’ospite di turno, consentendo quindi a ognuno di imprimere il proprio marchio alle canzoni.
“Reach for the Scars” è aperto da “I’m the Dog” che, muovendo da una tranquilla intro acustica, si evolve immediatamente in uno Stoner Metal battagliero di impatto immediato. Alla voce c’è Karl Agell, nei Corrosion Of Conformity dal 1989 al 1993 e attualmente in Blind e King Hitter e live-vocalist per The Skull come sostituto dell’insostituibile Erik Wagner (R.I.P.). I BPM calano nei tre episodi Southern Rock “Sing for the Devil?”, “Built of Misery” e “This Damn War”. Nel primo le tinte Blues della sei corde fanno il paio con le profonde linee vocali “al wiskey” di John Kosco (Cassius King), nella seconda troviamo ancora Karl Agell al microfono, in un pezzo sulla falsa riga dei Corrosion Of Conformity, mentre la terza vede Agell e Kosko dileggiarsi in un duetto.
Poi ci sono gli episodi Doom, contraddistinti da un approccio al genere piuttosto tradizionale: tra rintocchi di campane e riff downtuned tetri e cadenzati “The Submission Bell” (con Rob Traynor dei Black Water Rising alla voce) suona come un personale e genuino tributo ai Black Sabbath, mentre in “Demon of Regreat” aleggia lo spirito dei Trouble dell’era Wagner. Completano il quadro “Mourning This Life”, uno Stoner Rock stradaiolo, spocchioso e orecchiabile con Dewey Bragg (dei Kill Devil Hill) al microfono, lo Sludge fangoso e nichilista di “Hate Your Life” (cantata dall’ex Dog Eat Dog Dan Nastasi) e la closer “Kashmir”, cover dei Led Zeppelin che, pur non allontanandosi dall’originale, si distingue per le linee vocali drammatiche ed emozionali di Jimmy Gnecco.
Uscito per l’etichetta tedesca MDD Records, l’album convince e coinvolge anche grazie a una produzione professionale e moderna, in grado di catturare la potenza dei pezzi e restituirla fedelmente, a una proposta che, pur rimanendo all’interno di un perimetro stilistico ben definito, riesce a spaziare agilmente tra diversi sottogeneri e a una durata contenuta che lo rende accessibile e adatto anche ad ascolti ravvicinati.
“Reach for the Scars” è ricco di elementi che gli permettono di essere apprezzato da una ampia fetta del pubblico Rock e Metal, superando la ristretta cerchia dei chosen few (tanto per citare gli Electric Wizard) amanti dello Stoner/Doom. Difficile dire se i Patriarchs In Black siano da considerare un’avventura estemporanea o se si consolideranno in un progetto stabile, quello che è certo è che questo album centra il bersaglio anche e soprattutto grazie allo spirito di amicizia e collaborazione che lo caratterizza.