Recensione: Reader of the Runes – Luna

Di Stefano Usardi - 11 Aprile 2025 - 10:00
Reader of the Runes – Luna
80

Eccoci arrivati alla fine, gente: “Reader of the Runes – Luna”, fresco fresco di pubblicazione, chiude il sipario sulla trilogia fantasy degli Elvenking, iniziata con “Divination” e proseguita col più cupo “Rapture”, e secondo me lo fa molto bene. È giunto il tempo di tirare le fila della storia, sembra suggerire la splendida copertina, e per farlo i nostri decidono di alleggerire un po’ i drappeggi ferini che avevano ammantato il secondo capitolo per tornare a concedere spazio alla componente folk. Il violino torna a ritagliarsi spazio nella ricetta dei sacilesi, alternandosi alle tastiere per disegnare melodie suadenti o dal piglio bucolico o intrecciandosi a chitarre dinamiche e una sezione ritmica quadrata e potente. La componente drammatica si ammanta di toni più enfatici per sottolineare il carattere conclusivo e climatico del lavoro, in cui pathos e malinconia si alternano alla solita carica propulsiva dei nostri. Sarebbe ingeneroso, però, liquidare “Reader of the Runes – Luna” con un miope e sbrigativo more of the same, perché sebbene la matrice del Re Elfico sia da tempo codificata in una formula immediatamente identificabile e relativamente stazionaria, le qualità messe in campo dal gruppo gli hanno sempre consentito di comporre lavori solidi, coinvolgenti e soprattutto convincenti. Ciò grazie a un ottimo bilanciamento tra ruffianeria e carica propulsiva, un gusto per le melodie mai banale e, non da ultima, una notevole abilità narrativa. Inutile dire che anche stavolta i nostri fanno centro, confezionano una manciata di tracce scorrevoli ma al tempo stesso dense di profumi e riferimenti che, insieme, danno vita ad un racconto musicale coerente e sfaccettato. Durante l’ascolto di “Reader of the Runes – Luna” non ci sono momenti di stanca o lungaggini inserite solo per allungare il brodo: quello degli Elvenking è un metallo che spazia da scorribande tempestose a momenti minacciosi e serpeggianti, mescolando partiture eterogenee e melodie cupe, maestose o danzerecce, rapidi squarci dal pathos enfatico e cavalcate propositive.

Un ritmo tribale apre “Season of the Owl”, che poi deflagra nella pienezza di tastiere cafone e una batteria burrascosa. Le sventagliate delle chitarre donano al tutto un fare sferzante, che si fa scandito nel ritornello più tipicamente folk. La traccia prosegue così, saltellando tra veloci raffiche e un fare “bucolico sotto steroidi”, dando vita a un’opener dinamica e combattiva. I ritmi restano alti con “Luna”, classica traccia solare e propositiva che alterna un piglio zuccheroso ad improvvise accelerazioni, insinuando melodie festose su una struttura tipicamente power. Con “Gone Epoch”, invece, si entra in territori più smaccatamente folk grazie ad un fare scandito e agreste velato di una punta di nostalgia che, però, si carica durante il ritornello. Il violino guida le danze, battibeccando con le chitarre durante la pausa centrale più inquieta ma tornando padrone della scena nel finale. Si torna combattivi con “Stormcarrier”, che a un’apertura che recupera la carica propulsiva di “Luna” sostituisce un piglio robusto, sanguigno, rafforzato dalla presenza di un growl raschiante nei momenti più pesanti. Il violino punteggia il brano con i suoi accenti, pretendendo attenzione durante le improvvise accelerazioni e duellando con le chitarre nella sezione solista che apre al climax. “Starbath” prosegue col piglio heavy della traccia precedente, cedendo nel ritornello a melodie folk che conquistano sempre più spazio nell’economia del brano. Riff cafoni e ritmi quadrati aprono “On These Haunted Shores”, canzone variegata che alterna momenti sfacciati e sbruffoncelli ad altri di un’insospettabile delicatezza, condendo il tutto con la pienezza enfatica del ritornello e svolazzi ai limiti dell’heavy rock. Le diverse anime del pezzo si alternano in modo intelligente, togliendo punti di riferimento all’ascoltatore ma tenendone alta l’attenzione e perdendo di coesione solo nel finale, a mio avviso un po’ troppo slegato dal resto. “Ghosting” torna ad abbassare i ritmi, ammantando la sua intrinseca sfacciataggine heavy con melodie languide e cori ammiccanti ed insinuandovi una sezione strumentale dal retrogusto esotico. Dopo questa prima iniezione di zuccheri si torna propositivi con “Throes of Atonement”, traccia vivace che ammanta una struttura apparentemente semplice di melodie bucoliche, cori anthemici e squarci solari, la cui alternanza dona al pezzo il suo taglio scorrevole ed avvolgente. Con l’arpeggio sinistro di “The Weeping” i nostri insinuano nella ricetta toni più cupi. La canzone serpeggia su ritmi lenti ed impietosi e melodie oscure, aprendo qualche spiraglio meno incombente solo durante il ritornello più enfatico. L’incursione folk che apre la seconda metà sfuma in un’impennata solista che si lascia dietro un ritmo tribale, a sostenere un breve coro sciamanico che prende poi la rincorsa per il climax e sfuma in un finale nuovamente inquieto. Il compito di scrivere l’ultimo capitolo della storia è affidato a “Reader of the Runes – Book II”, suite in cui i nostri tirano le somme mescolando tutti gli elementi finora incontrati. Ecco quindi enfasi battagliera, cupi ispessimenti dal taglio minaccioso, atmosfere sognanti e cariche di aspettativa e rapidi assalti all’arma bianca che si fondono in un brano che si ritorce spesso su se stesso, recuperando il leitmotiv della trilogia già incontrato nei precedenti lavori e sfruttandolo come spartiacque tra la prima metà più aggressiva e la seconda più enfatica e trionfale, nonché come ultima nota prima di prendere congedo dal proprio pubblico.

Reader of the Runes – Luna” è una più che degna conclusione per l’ottima trilogia composta dagli Elvenking, nonché un lavoro che, anche se preso fuori dal suo contesto, può dire la sua grazie a una struttura solida e sfaccettata, brani coinvolgenti e concentrati e un ottimo bilanciamento tra le diverse anime che lo compongono.

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