Recensione: Reanimated Homunculus
“The candles are burning once again
A figure is formed by skillfull hands
The rabbi is working day and night
Creating a Protector, a guardian of the light…”
Per tutti gli amanti del thrash old school di chiara fabbricazione teutonica, il ritorno dei Protector non poteva di certo passare inosservato. Pur non essendo mai riuscito ad uscire dalla dimensione di cult band perennemente all’ombra dei tre Grandi della scena tedesca (quattro, mettendoci pure i Tankard), il combo proveniente dalla Bassa Sassonia (Wolfsburg) ha in ogni caso alle spalle una carriera di tutto rispetto, avendo archiviato quattro full-length (ed una marea di demo, EP e split album) che comunque hanno segnato la scena di quegli anni.
Non è facile riassumere in poche righe la loro carriera, caratterizzata da molteplici avvicendamenti e dalla scomparsa prematura del batterista e membro fondatore Michael Hasse (1992), ma possiamo provare a fare chiarezza sugli eventi successivi all’uscita di “The Heritage” (1993) fino ad arrivare ai giorni nostri e quindi all’oggetto di questa recensione: “Reanimated Homunculus”. In seguito alla dipartita di Hasse, unica costante fin dai primissimi vagiti della band, le redini del gruppo erano state prese da Marco Pape (suo diretto sostituto) almeno fino ai primissimi anni del nuovo millennio, relegando tuttavia la band in una sorta di limbo (fatta eccezione proprio per “The Heritage”, ovviamente). È a questo punto che rientra in scena Martin Missy (vocalist sui primi due lavori), il quale sposta la base del gruppo dalla Germania alla Svezia e lo riporta ad un quartetto (rispetto alla classica formazione a tre), come ai tempi di “Urm The Mad”, innestando tre elementi nuovi con una certa esperienza alle spalle: Michael Carlsson alla chitarra, Mathias Johansson al basso e Carl-Gustav Karlsson alla batteria.
L’intento di Missy, evidentemente, era quello di riportare i Protector precisamente alle sonorità dei lavori cui ha preso parte, facendo un passo indietro rispetto al cavernoso thrash tendente al death di “A Shedding Of Skin” e più in particolare di “The Heritage”, puntando su suoni molto più scarni e sferraglianti come quelli di un tempo. Voce effettata come provenisse da qualche oscuro antro, riff al fulmicotone e ‘tupatupa’ imperante sono gli elementi che la fanno da padrona su “Reanimated Homunculus”. Rispetto ad album micidiali come “Golem” o “Urm The Mad”, tuttavia, i Protector attuali perdono un pizzico di personalità avvicinandosi a certe soluzioni dei soliti Sodom e perdono un po’ di quella oscura morbosità e cattiveria che li faceva rientrare in un certo senso tra i precursori del black metal. La violenza sonora qui è molto più contenuta e un diretto rifllesso è il drumming di Karlsson: forse più preciso, ma meno devastante di quello dei suoi predecessori.
“Sons Of Kain”, per esempio, non è la classica opener spaccaossa cui ci avevano abituato, anche se indubbiamente non si tratta di un mid-tempo ma sempre di un brano piuttosto tirato. Così come la title-track viaggia su ritmi cadenzati, salvo poi accelerare bruscamente in occasione del solo di chitarra giusto per una manciata di secondi. Discorso simile anche per la riffeggiata “Antiman”. Specie nei primi due casi, si tratta di brani che tendono subito a stamparsi in mente e di conseguenza a farsi apprezzare, per cui si inseriscono bene all’interno dell’album e garantiscono una certa varietà.
Non temete, però. Si tratta pur sempre di thrash quadrato e bello ignorante come da tradizione quello che i Protector continuano (o per meglio dire, riprendono) a confezionare, nonostante i tanti cambi di formazione. Molto probabile che le direttive di Missy, sorta di garante del Protector-sound, siano state precise per indirizzare gli sforzi del gruppo verso un prodotto che suonasse dannatamente old-school a livello sia compositivo che di produzione. Missione compiuta, dato che tracce come “Deranged Nymphomania”, “Holiday In Hell” o “Road Rage” vi scaraventeranno con la loro veemenza direttamente nello scorso millennio e così anche la tosta “The End” (apparsa precedente sul demo “Resurrected” del 2000), sorta di tributo alla formazione capitanata da Marco Pape che allora pianificava il ritorno sulle scene.
L’ultima nota di merito va senz’altro al talentuoso Kristian Wåhlin, musicista ed autore di alcune delle più spettacolari copertine degli ultimi decenni (At The Gates, Bathory, Dissection, Emperor, Morgana Lefay, sono solo alcuni dei nomi sul suo carnet), il quale anche in questo caso non smentisce la sua fama di culto, confezionando una cover davvero ben fatta.
In sostanza, “Reanimated Homunculus” non farà gridare al miracolo, eppure appare un prodotto ben confezionato in ogni suo aspetto, che scorre via come bere un bicchiere d’acqua senza mai annoiare. Merito anche di un minutaggio contenuto per un totale di dieci tracce – né troppe né poche – e di una buona differenziazione dei brani, resi così tutti facilmente distinguibili. Certo, si tratta pur sempre di un’uscita quasi esclusivamente dedicata ai nostalgici, per i quali con buona probabilità non sarà una delusione, perciò il consiglio per tutti gli altri è di recuperare prima i lavori precedenti.
Orso “Orso80” Comellini
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