Recensione: Reaperdawn

Di Daniele D'Adamo - 25 Agosto 2024 - 0:00
Reaperdawn
Band: In Aphelion
Genere: Black 
Anno: 2024
Nazione:
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75

Gli In Aphelion sono una band che fa parte del cosiddetto insieme «internazionale». Cuò perché Sebastian Ramstedt, Johan Bergebäck e Tobias Cristiansson sono svedesi, mentre Marco Prij è olandese.

Nonostante questa diversità meramente geografica, essi sono accomunati dal fatto di appartenere a band più che note nel panorama del genere estremo internazionale. I primi tre, difatti, fanno parte dei Necrophobic, mentre il quarto dei Cryptosis.

Ma, non sorgano dubbi in proposito, gli In Aphelion sono un’unità a se stante, con un proprio carattere, ben diverso da quello degli act appena menzionati. Sì, perché a differenza di questi ultimi, il genere è una dimostrazione di come debba essere il black metal nella sua forma più ortodossa, calibrata ovviamente nel 2024. Niente contaminazioni, niente attraversamenti trasversali di altre fogge musicali, niente progressioni, niente evoluzionismo, niente ambient e niente elettronica. Black e basta. Che, se si vuole proprio essere precisi sino in fondo, fa parte di quella ormai rara propaggine folle che risponde al nome, che pochi rammenteranno, di fast black metal.

A prescindere da queste dissertazioni su cosa suonino i Nostri, è bene rilevare che, in primis, il loro sound è potentissimo, violentissimo, assolutamente sconvolgente. Superlativi necessari per dare immediatamente l’idea di cosa si possa trovare in “Reaperdawn“, secondo full-length in carriera. Non solo, si può anzi deve aggiungere velocissimo, grazie ai terremotanti, devastanti blast-beats generati dalla batteria di Prij, spinta a rincorrere il suono grazie al basso tonante e roboante di Cristiansson.

L’incedere delle song è poderoso, scandito dalle harsh vocals di Ramstedt, non particolarmente graffianti grazie a un tocco di growling che ne abbassa i toni. Si tratta di una prestazione attenta e altamente professionale, che dimostra una volta di più la bravura di quest’ultimo di percorrere le linee vocali di un dato intervallo sul rigo musicale.

L’aggressione sonora, oltre a quanto menzionato, è da rilevare nel mostruoso riffing ideato dallo stesso Ramstedt e da Bergebäck. Riffing dai confini senza limiti, reso duro, roccioso grazie alla distorsione della tecnica del palm-muting (niente… zanzare, quindi). Su un tappeto così coeso di accordi multiformi, a tratti complessi, le lead guitar disegnano mirabili e scintillanti arabeschi dorati che, almeno a parere di chi scrive, rappresentano uno dei segni caratteristici più evidenti del black metal. Perché, senza mezzi, termini, sono quelli che definiscono strettamente la qualità della componente melodica (“When All Stellar Light Is Lost“) limitatamente al genere in esame.

Melodia non certo di stampo AOR e hard rock, per scrivere due esempi, bensì tesa a rendere visionario lo stile della formazione svedese/olandese. I passaggi armonici sono davvero tanti, roteanti nel violentissimo attacco alla giugulare eseguito con l’energia cinetica che scaturisce grandissimi valori di velocità (“The Fields in Nadir“). Un LP che appare come un attacco termonucleare al Mondo intero, per poi tingerne di nero i resti (“Aghori“).

I brani sono piuttosto articolati, sebbene obbediscano allo stile, lineare e facile da mandare a memoria, dei Nostri. Ben contenti, e si percepisce dall’incedere marziale delle truppe infernali, di lasciar perdere ogni più piccolo rifermento al death. Una volontà che si rispecchia, anche, nella ferrea volontà di aver cercato in tutti i modi di aver dato alla luce un platter di puro black metal nella terza decade del terzo millennio. Scempi sonori come “The Darkening” son lì, a portata di tutti, per demolire ogni resistenza al, si può dire, fast black metal eseguito da musicisti dall’altissimo livello tecnico/artistico, nonché dalla irreprensibile professionalità.

Un accenno a “They Fell Under Blackened Skies“, poiché è indicativa al 100% del sound degli In Aphelion. Partendo da un arcano assolo che trancia l’atmosfera, il resto la strumentazione sale di decibel sino ad arrivare alla massima velocità possibile con la precisionie di un metronomo. Un devasto!

Probabilmente non resteranno scolpiti per sempre nella Storia del black metal per via di una certa scolarizzazione delle varie tracce, ma sicuramente le strutture ospitanti le apparecchiature di restituzione sonora, quali camere, soggiorni, ingressi, ecc., saranno messe a dura prova dalla spaventosa vigoria che pulsa nelle vene dei quattro, ormai si può dire, leggendari cavalieri del death e black metal.

Daniele “dani66” D’Adamo

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