Recensione: Reason And Divine
Se c’era qualcosa che ancora mancava allo spettro di sperimentazioni dell’avantgarde, beh, sicuramente gli
H.O.P.E. l’hanno coperto: la loro miscela di black metal e Muse (sì, parlo di quei Muse!), con l’aggiunta di una spruzzatina di gothic e di vari elementi tra l’epico ed il folk ad arricchire, è semplicemente unica. Ed anche se a leggere queste righe può sembrare che stiamo parlando di un pastrocchio forzatamente sperimentale, con l’unione di sonorità che nell’insieme possono solo dare vita ad uno scempio, qui sta la loro grandezza:
Reason And Divine è infatti uno dei dischi più belli mai usciti nella nicchia avantgarde, con passaggi che gli permettono di entrare subito a far parte dell’olimpo di cui gente come
Manes, Dødheimsgard e Thee Maldoror Kollective, giusto per nominarne tre, sono già membri stabili da tempo.
Gli H.O.P.E. (Human Or Pain Existence) nascono per volontà di Alkariis,
unico compositore e musicista della band, anche se per le registrazioni si è
avvalso di alcuni session: nessuna esperienza ‘importante’ in precedenza, solo
qualche partecipazione a misconosciuti album death o black, il trentenne di
Clermon-Ferrand decide un bel giorno di esprimere la sua intera personalità
mettendo in musica gusti quantomeno eterogenei, ma non per questo stonati nel
loro mescolarsi.
Un’interiorità eccentrica e ai limiti del geniale, che non disdegna alcuna
commistione (inserendo anche l’elettronica, sì: ma si sente che per una volta
non è fatto per ragioni di convenienza commerciale) né pone limiti alla
tavolozza di colori con cui dipingere il proprio affresco. Colori che, nel bel
booklet che accompagna l’album, sono fondamentalmente due: il bianco ed il rosso
sangue, con alcune foto che lo vedono protagonista di pose a metà tra il black
grezzo ed il gothic più malinconico (o il rock più introspettivo).
I cori femminili di Chateau Noir, ispirati a una vena rock aliena al black metal gothicheggiante che tanto ci ammorba da anni; l’aggressività di
My Own Interior Way con i suoi campionamenti; l’attacco psichedelico di
Racine Mortelle e la sua partenza elettronica in un crescendo ritmico ed emozionale…Si potrebbero davvero citare tutti i singoli passaggi di questo album senza trovare nulla di sbagliato:
Nikolas Alkariis coglie l’essenza più viva di una sperimentazione che alla Francia (oddio, era il Principato di Monaco, ma fa lo stesso) manca dai tempi
dell’ultimo, ottimo Godkiller.
Solo che qui si va oltre, e con che risultati. Irripetibile.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
01. An Ordinary Morning [mp3]
02. Le Château Noir [mp3]
03. My Own Interior Way [mp3]
04. My Second Self
05. Absinthe
06. Racine Mortelle
07. A Light Despair
08. Hope