Recensione: Rebel
Sono passati sei anni dal meritevole Smoke And Mirrors dei Lynch Mob, la band di uno degli axemen statunitensi più celebrati e seminali degli anni d’oro del class metal. Proprio con quel platter George Lynch aveva ricongiunto il proprio destino con quello del vocalist Oni Logan, con il quale aveva dato vita nel lontano 1990 alla sua prima opera post-Dokken, Wicked Sensation (un classico). Adesso i Lynch Mob rientrano nel roster della Frontiers Music. Ecco arrivare, infatti, proprio per la label italiana, “Rebel”, fiammante nuovo CD del combo americano, che presenta accanto ai due artisti di cui sopra una sezione ritmica di serie A: Jeff Pilson, già con Dokken e Dio, e attualmente con i Foreigner, al basso, e Brian Tichy, che ha militato nei Whitesnake ed in tanti altri gruppi, alla batteria.
Non che i Lynch Mob, dai tempi del fumo e degli specchi, siano stati con le mani in mano. La band, difatti, ha dato, nel frattempo, prova di sé prediligendo però il formato EP. E non dimentichiamo che proprio all’inizio del 2015, sempre per Frontiers, il Lynch ha realizzato, con Michael Sweet degli Stryper, il pregiatissimo Only to Rise.
Questo nuovo Rebel, dunque, si colloca coerentemente proprio sul percorso tracciato dal 2009 ad oggi. Un cammino, quello della band, che ha visto il suo mastermind George Lynch assecondare maggiormente, più che il suo passato class metal, le sue radici primigenie ben piantate in un rock classico, hard e venato di blues, evocante lande desolate arroventate dal sole e imbrattate dalla polvere.
E infatti: subito Automatic Fix accoglie l’ascoltatore con la chitarra di Lynch che scarica raffiche di riff circolari e decisi. La voce increspata di Oni Logan si mostra all’altezza degli anni migliori, mentre la sezione ritmica martella incessantemente. L’ascia si lancia anche in assoli melodici come nella migliore tradizione del grande hard rock, e non manca un intermezzo più rarefatto sebbene lacerato da bagliori esplosivi.
In Between The Truth And A Lie la premiata ditta Pilson & Tichy offre un terreno groovy su cui la sei-corde ed il canto imperversano con notevole grinta disegnando un brano sinuoso assai.
Molto più in là Kingdon Of Slaves tratteggia un hard rock blues torrido ed old school frastagliato da cocenti assoli della elettrica di Lynch.
Sanctuary e Jelly Roll, ancora, arroventano l’aria circostante con un canicolare e teso rock pesante e groovy, mentre gli umori bluesy rifanno capolino in Testify, flessuoso e serpeggiante midtempo, ma anche nella rotolante Pine Tree Avenue.
In quest’atmosfera apparentemente granitica ed uniforme, si aprono spiragli di suoni differenti dal resto dell’album: si parla, ad esempio, di The Hollow Queen, nella quale trova un proprio spazio la melodia, ed in cui anche la chitarra si adagia in molli fluidità, arpeggi e qualche spunto di rock contemporaneo. E lo stesso avviene in The Ledge, che incanta grazie ad un gradevolissimo e suggestivo sviluppo armonico in cui Oni Logan mette in mostra un canto appassionato e pieno di soul.
Tra le canzoni più sostanziose, come non citare Dirty Money, tirata via da toni quasi funky, ma qui illuminato da un chiarore melodico che lo rendono particolarmente a fuoco ed accattivante, e, ancora, War, un gran finale dal notevole tiro e dal ritornello cantabile, contrassegnato da un George Lynch dinamico ed entusiasmante. Una bella sveglia dal gradevole stato quasi ipnotico indotto dall’umore di alcune tracce precedenti.
Rebel, dunque, conferma i Lynch Mob, come alfieri di un suono torrido, bluesy, dominato da una chitarra fangosa e riarsa, ed aperto su rari squarci più melodici. L’assenza di brani “riempitivo” e di cali di tensione – pur in mancanza, forse, anche di vette compositive tali da rendersi intramontabili – lo pone qualche gradino sopra Smoke and Mirrors, mentre, sul piano delle intenzioni stilistiche, va certamente collocato ben più appropriatamente nello scaffale in cui abbiamo posizionato fino ad oggi i dischi di gente come Bad Company e Badlands, piuttosto che i vinili o i CD fondamentali dei Dokken.