Recensione: Rebels
Tarek Maghary, singer tedesco di origine ungherese, è un defender incallito e indomito, fiero portatore della torcia Epic Metal, nel nome assoluto dei Manowar. Fondò i suoi Majesty nel lontano 1997 proprio come omaggio al sacro verbo e alle opere di Joey Di Maio e compagni, e da allora è andato avanti imperterrito, tra cambi di formazione, di monicker (per un certo periodo la band fu conosciuta come Metal Force), la creazione del Keep It True Festival, senza cambiare di un oncia il peso specifico della propria visone metallara.
Ricordo anche un suo abbozzo di metal opera partorita nel 2006 con il nome Dawnrider, il disco si intitolava “Fates Is Calling Part 1″, naturalmente un compendio di metal epico manowariano registrato con pochi mezzi e tanta passione, che purtroppo non vide mai un successore. Insomma, Tarek si è sempre speso, nel suo piccolo, per tenere viva la fiamma accesa dai propri numi tutelari e che senza di essi rischia di affievolirsi lasciando solo le braci di una gloria che fu.
Tolte le incerte vestigia dei Metal Force e tornati a indossare l’armatura a nome Majesty, i tedeschi hanno ripreso il loro cammino con tre album fieri e battaglieri, e si presentano nell’Anno Domini 2017 con un nuovo contributo alla causa heavy metal: “Rebels”.
Nelle dichiarazioni del mastermind Tarek, avremmo dovuto assistere a una evoluzione, dei Majesty 2.0. La promessa fatta ai fans era chiara: riff più potenti, inni melodici e una produzione (vera pecca nella loro discografia) che avrebbe spazzato via quanto fatto in precedenza. Da questo punto di vista la promessa non è stata tradita, grazie anche al contributo in sede di mix e mastering da parte del rinomato Frederik Nordsträm. La produzione è finalmente all’altezza, il suono vive potente e quadrato, e alza l’asticella della qualità. Quanto alla proposta musicale, i Majesty non cambiano di una virgola i loro intenti, ogni traccia è un ode al metallo e sprizza epicità da ogni nota, solo che tutto sembra essere più amplificato, più determinato, finalmente maturo e in grado di competere alla pari con i giganti del settore, rivaleggiando con i vari Hammerfall o Sabaton.
Ce ne accorgiamo subito dopo l’intro evocativa di turno, con la prima traccia a nome “Die Like Kings”: batteria pestante, riff sgretola muri, il fantasma dei Manowar che aleggia onnipresente, specie nel refrain che potrebbe benissimo essere partorito dalla stanca penna di Di Maio. Anche la voce di Tarek Maghary sembra avere un passo in più, meno votata al tono cupo che lo ha accompagnato spesso nelle sue avventure, ma più cristallina e calibrata nelle parti alte. Espressivo lo è sempre stato, ma in questa sede sembra aver raggiunto un nuovo livello.
Il coro barbaro di “Rebels Of Our Time” guarda occhio per occhio i già citati Sabaton, e sono proprio i cori battaglieri e dall’afflato epico a regnare lungo i solchi di Rebels, come in “YOLO HM” e “The Final War”. Energia che scorre come fiumi di lava, come scorrono immagini di guerrieri su campi insanguinati che combattono gridando all’eternità.
C’è anche la ballad (epica) come da costume, “Across The Lightning”, pacchiana con gusto su un leggero tappeto di tastiere, dove il ruggito della chitarra apre al corone enfatico. La qualità delle tracce a questo punto si assesta sulla bontà, senza eccellere mai, aderendo agli stilemi del genere con orgoglio e onestà, e con la giusta capacità per maneggiare del metallo così rovente.
Iron Hill innalza il livello grazie a una dose malinconica nelle strofe, tra le sferragliate senza pietà delle sei corde ad opera del nuovo arrivato Tristan Visser (bravo anche in sede di assoli) e di Robin Hadamovsky . Il coro, ennesimo, e poi il migliore del lotto, quello che più rimane a pulsare nelle tempie.
Soprassederei invece sulle tastiere plasticose che ogni tanto si inseriscono nel tessuto sonoro, come all’inizio e nel mentre della cavalcata “Heroes In The Night”, capace comunque di assestarsi su un buon livello grazie al riff melodico e immediato e a un altro bel coretto. La robusta “Running For Salvation” scarica un’altra dose di metallo dinamitardo prima della chiusura affidata ai sei minuti di “Fighting Till The End”, un compendio di quanto sono e continueranno a essere i Majesty, rocciosi, epici fino al midollo, come detto pacchiani (d’altronde i Manowar sono-erano i maestri della pacchianeria), melodici il giusto, barbari nei cori, qui più da arena che da osteria come capita spesso di sentire.
Il nuovo “Rebels” presenta dunque undici tracce che non lasciano dubbi sulla loro natura, forgiate per funzionare in sede live, dimensione necessaria per liberare al meglio gli inni dei Majesty. Una band senza dubbio derivativa, che rimarrà probabilmente una seconda scelta dietro altri nomi che hanno raccolto maggior fortuna, ma in grado di soddisfare con poco e strappare un sorriso compiaciuto. “Rebels” è dedicato senza dubbio ai defenders asserragliati dietro mura di amplificatori, che potranno gustarselo a tutto volume tra una bevuta (da una corno ricurvo, naturalmente) e il volteggiare dei pugni al cielo, in un anelito di libertà e gloria.