Recensione: Rebirth In Nothing
I Lokasenna si presentano con questa prova non esattamente esaltante, fermo restando che non si tratta di un disastro. Se da un lato infatti dimostrano di saperci fare con gli strumenti e di avere buone potenzialità, alla resa dei conti non riescono nell’intento di colpire l’attenzione con questo “Rebirth In Nothing”. Penalizzante, almeno in questo caso, l’utilizzo di una drum-machine al posto di un batterista in carne ed ossa, non tanto per l’impatto sonoro, quanto per la stessa scelta di determinate ritmiche.
La prima traccia, “Alone With My(dark)Self”, pur essendo supportata da un riffing veloce e massiccio, presenta proprio nelle linee di batteria le maggiori carenze. Sembra infatti che la parte strumentale porti avanti un discorso del tutto staccato da quella ritmica, soprattutto in alcune delle parti più veloci. Per quello che riguarda il genere, oserei dire Death Metal molto influenzato da gruppi americani dello stampo di Cannibal Corpse e simili; non mancano però parti melodiche (ottima l’apertura verso la fine della già citata opener) e assoli sicuramente più debitori al classico stile europeo.
In futuro spero che vengano rivisti anche alcuni dettagli che per ora rimangono in secondo piano, come il suono della chitarra solista o l’effetto sulla voce, veramente irritante. Punterei molto più su brani come il terzo e conclusivo “The Bonds, The Nothing”, dall’impatto quindi molto violento, oppure sulle rarissime parti melodiche, dove tra l’altro i Lokasenna dimostrano una grande maturità non lasciandosi andare in banalità o in eccessive sviolinate che poco si inquadrerebbero nel contesto. Rebirth In Nothing con un pizzico di impegno potrebbe essere il primo passo, un po’ zoppicante, verso una lunga strada.
Matteo Bovio
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