Recensione: Reborn

Di Roberto Castellucci - 3 Novembre 2020 - 23:28
Reborn
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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76

Ammiro molto le persone che, come l’illustre astrofisico Stephen Hawking, riescono a racchiudere concetti profondi in frasi brevi, utilizzando poche e semplici parole. Molti suoi pensieri ormai hanno fatto il giro di mezzo mondo; ne ricordo uno che mi sembra particolarmente adatto: «Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi…per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire». Non so se Detevilus, mastermind della one man band Detevilus Project, abbia mai letto queste parole di Hawking; quel che è certo è che il disco d’esordio ‘Reborn’ ne rappresenta una manifestazione concreta, sia per quanto riguarda i messaggi trasmessi dai testi, perlopiù incentrati sulla necessità di lottare per la piena realizzazione di sé stessi, sia per quanto concerne la produzione sonora. Ascoltare il disco è la classica esperienza che non ci si aspetta: l’album è ben suonato e prodotto con passione e dedizione. Sorprende vedere sul profilo social di Detevilus Project le immagini dello studio di registrazione, origine delle intriganti esplorazioni musicali di ‘Reborn’ : una scrivania, una chitarra con la sua pedaliera, un PC con due casse e un paio di cuffie, alcune mascotte arrivate direttamente dal mondo videoludico della serie di videogiochi DOOM. Un luogo che ricorda la cameretta che sognavo da adolescente ha permesso la creazione di un disco così gradevole da lasciarmi stupito: con la giusta strumentazione e una buona dose d’impegno le produzioni fai-da-te possono raggiungere livelli notevoli.

Il buon Detevilus, nell’intervista che ci ha concesso, ci racconta come il suo progetto sia nato nel 2010. Nei 10 anni che separano la nascita del progetto dall’uscita del primo disco sembra che il suo sguardo si sia diretto, oltre che verso le stelle, come consigliava Hawking, anche verso le correnti musicali Metal più innovative dei primi dieci anni del Nuovo Secolo. Durante l’ascolto di ‘Reborn’ veniamo accolti principalmente da influenze progressive death e djent, accettando con piacere sonorità prodotte da una mescolanza di Meshuggah, deathcore e suggestioni metalcore. I toni più spiccatamente prog non devono comunque allontanare gli ascoltatori alla ricerca di toni più battaglieri: i lettori che smaniano per un po’ di sana aggressività troveranno terreno fertile in ‘Reborn’. Brani carichi di tensione come ‘The Mirror Within’, ‘Origins’, ‘Reborn’ e ‘Delirium’ sapranno soddisfare i bisogni catartici di ogni metallaro che si rispetti. Talvolta appare addirittura qualche richiamo ai tempi d’oro del nu-metal: la title-track ‘Reborn’ stupisce inizialmente con un crescendo che non sfigurerebbe in un buon disco degli Slipknot e, tanto per rimanere in tema, anche l’ascolto di ‘Forgive Us’ sembra ricondurre a produzioni di una ventina di anni fa. La canzone è caratterizzata da alcune parti vocali in grado di riecheggiare molto da vicino la sensazione di oppressione che si prova ascoltando certi episodi recitati, più che cantati, da Jonathan Davis dei Korn. E’ sempre gratificante, ora come allora, sentire una voce pulita evolversi in growl, accompagnando e amplificando l’inasprirsi del tappeto strumentale e dei contenuti testuali. ‘Forgive Us’ è inoltre l’unico brano che, trattando di ambientalismo, si discosta dalle tematiche principali affrontate nel disco, confermando così la capacità di Detevilus di sapersi muovere in terreni diversi tra loro, pur riuscendo a mantenere una coerenza di intenti invidiabile.

Una volta terminato l’ascolto ci accorgiamo di essere davanti a un’opera solida e piacevole, sicuramente frutto di anni di lavoro intenso e ispirato. Le parti vocali pulite, sfruttate con parsimonia lungo tutto il disco, risultano di tanto in tanto meno convincenti rispetto al predominante growl: si tratta di una piccola pecca alla quale ci si abitua subito e che non rovina assolutamente la fruizione delle sonorità, talora più immediate, talora più complesse, di cui l’album è intessuto. Può apparire inusuale e curiosa la scelta, spiegata dallo stesso Detevilus durante l’intervista, di alternare brani cantati a brani strumentali: questo sdoppiamento delle anime di ‘Reborn’ fornisce un inaspettato e interessante valore aggiunto al disco. Se Detevilus continua a “guardare le stelle” come ha fatto finora ci aspettiamo grandi cose in futuro. Buona la prima, per Detevilus Project, e buon ascolto!

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