Recensione: Recensione: His Majesty at the Swamp
His Majesty at the Swamp, primo full-lenght targato 1993 del trio ellenico Varathron, si mostra originale sin dal titolo rispetto alla convenzionale scena black nordica, scandinava in particolare: non ci toviamo di fronte a satanismi trionfali e pacchiani o a gelide rasoiate chitarristiche, bensì ad un sound che trasporta l’ascoltatore nel fango di una palude in cui si affonda pian piano, quasi senza accorgersene. Davvero si sente odore di zolfo nelle composizioni dei Varathron, insieme a Rottig Christ, Septic Flesh e Necromantia esponenti di punta della scena black greca, alternativa e complementare rispetto alla coeva enclave nordica: influenzati pesantemente dai Black Sabbath e dalla produzione doom successiva, genere molto apprezzato nella penisola ellenica, la produzione dei nostri, riscontrabile pienamente in His Majesty…., risulta riconoscibile dalla componente atmosferica ed ipnotica delle composizioni; niente screaming, nè violenza brutale, ma un incedere lento e crepuscolare, in cui fanno capolino Morbid Angel e Saint Vitus, con un cantato dalle vibrazioni occulte che rende unici e perfettamente riconoscibile i nostri. A ciò contribuisce una produzione che, se certo non all’altezza del valore storico e compositivo del platter, tuttavia ne esalta la componente limacciosa e lovecraftiana. Se il black metal di stampo nordico appare dominato dal blast beat e da un suono più tagliente, quello greco risulta quindi maggiormente melodico e legato alla componente heavy: i Varathron si dimostrano abili a miscelare diversi elementi, quali un’inusuale quanto espressiva drum machine e da una forma canzone soretta da riffs cadenzati e malefici, che rendono l’album una tappa necessaria a chi volesse avvicinarsi ad un black “mediterraneo” e completamente “altro” rispetto alla pur buona, ma spesso “ovvia”, minestra ghiacciata scadinava.