Recensione: Reckless
Gli anni ’80 sono un florido e mitizzato periodo storico in cui la musica ha visto nascere, crescere, fiorire e morire centinaia di generi e sottogeneri musicali. In mezzo a quest’apparente orgia musicale (nel senso buono del termine ovviamente) si riconosce un genere che ha reso questo decennio come la decade delle arene: l’AOR. Termine vago, nel quale si possono trovare varie sfaccettature, quelle più vicine all’Hard Rock, quelle più patinate e orecchiabili e infine quelle come Bryan Adams. Artista completo (è anche fotografo, vincitore di alcuni premi), comincia giovanissimo la sua carriera registrando cassettine delle sue performance musicali già all’età di quattordici anni. Il successo arriva al terzo album Cuts like a Knife; ma la vera conferma, quello che lo consacra alle folle è il successivo, datato 1984, Reckless.
Iniziato a registrare subito dopo la fine del tour di Cuts, l’album si compone di dieci canzoni, di cui sette furono lanciate come singoli. Le registrazioni durarono tantissimo (circa nove mesi, un vero e proprio parto) poiché Adams si diceva sempre insoddisfatto del proprio lavoro. Basti pensare che l’incisione di Run to You, finita prima dell’estate, fu completamente rifatta dopo “le vacanze” a settembre, ad album praticamente quasi concluso. Manie di perfezionismo? Forse sì, ma diciamo pure tranquillamente che non sempre questa è una pecca. L’album infatti è un insieme di piccole perle, alcune delle quali diventate poi capolavori e non rende certo vana tutta la pignoleria che il singer canadese gli ha dedicato. Se è vero poi che il successo di una band, o di un artista come in questo caso, non si valuta dall’apprezzamento delle masse, allora possiamo dire che ci sono anche le classiche eccezioni che confermano la regola. Il successo planetario che questo platter ha avuto è al 100% meritato.
Tutte le canzoni presenti sono firmate Adams/Vallance, artista col quale Bryan ha collaborato per i suoi primi cinque album nonché percussionista della formazione che lo accompagna in quest’avventura. Da segnalare poi la presenza di Keith Scott (già chitarrista per Cher e Tina Turner) e di Tommy Mandel alle tastiere (curriculum che presenta lavori con Bon Jovi in 7800 Fahrenheit, e con i Clash di Combat Folk).
Giusto per citare qualche titolo, e far capire cosa si intende per successo planetario meritato, quest’album vanta la presenza di canzoni come Summer of ’69, la già citata Run to You, Somebody, One Night Love Affair e la ballad strappalacrime Heaven. Se poi quasi con timore referenziale nominiamo la partecipazione della voce femminile ottantiana per antonomasia Tina Turner per il duetto in It’s Only Love, capirete che ci troviamo davanti ad un platter che non ha nulla da dimostrare, deve solo lasciarsi girare sul piatto e coinvolgere l’ascoltatore.
One Night Love Affair posizionata come opener cattura subito l’attenzione e trascina alla seguente allegra e ritmata She’s Only Happy When She’s Dancin’, canzone forse poco valorizzata se non altro perché per il sottoscritto è uno degli highlights del disco (sempre che se ne possano individuare con chiarezza in mezzo a questo ben di Dio), che vede la presenza Lou Gramm (Foreigner) alle seconde voci. Vero punto di forza del lavoro è proprio il trascinare chi l’ascolta dentro le canzoni con la capacità di renderlo protagonista. Difficile resistere alla tentazione di ballare ascoltando la seconda traccia, quasi impossibile non commuoversi un poco ascoltando Heaven (la quale vede Steve Smith, all’epoca militante nei Journey, ospite alle pelli), che nonostante abbia subito il triste destino di ogni ballad, ovvero esser inflazionata fino a risultare nauseante, non perde il proprio fascino nel contesto dell’album, come è impossibile non rockeggiare ai riff di Kids Wanna Rock e di Long Gone pezzo in pieno stile rock n’ roll, o non aver la pelle d’oca all’ingresso della timbrica della Turner nell’ottava traccia.
In fin dei conti questo è uno di quei lavori per cui sorge spontanea la domanda: “ma è un album o un greatest hits?”. La densità di singoli, la quantità di successi che ha riportato e la scorrevolezza di tutta l’opera lo rendono un must per gli amanti dell’AOR, di qualsiasi sfaccettatura nominata in incipit. Dall’energia dell’hard rock, all’orecchiabilità del rock più patinato, passando per la ballad epocale che non tramonta mai; questo disco accontenta tutti. Sarà semplice e immediato, perché è inutile negarlo, ma questo non pregiudica un’ispirazione e un’originalità che conferisce a quest’album il pregio di essere senza tempo, visto che a distanza di ventiquattro anni siamo ancora qui a godercelo in tutta la sua interezza.
Alberto “Metal Priest” Vedovato
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Tracklist:
1. One Night Love Affair 4:32
2. She’s Only Happy When She’s Dancin’ 3:14
3. Run to You 3:54
4. Heaven”4:03
5. Somebody 4:44
6. Summer of ’69 3:35
7. Kids Wanna Rock 2:36
8. It’s Only Love 3:15
9. Long Gone 3:57
10. Ain’t Gonna Cry 4:06